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Beata Vergine Maria Corredentrice

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Il titolo “Corredentrice” significa letteralmente “cooperatrice all’opera della Redenzione” e distingue l’opera di Maria Santissima sia da quella di Cristo Redentore (alla quale è subordinata e dalla quale dipende) che da quella di ogni altro “discepolo”. Un utile ripasso storico e teologico per orientare il dibattito.



Le verità rivelate da Dio sul mistero di Maria di Nazareth si sono andate condensando, nel corso dei secoli, in altrettanti titoli mariani che, nella loro pratica essenzialità, divenivano i portatori di contenuti teologici, a volte anche molto articolati e complessi, distillati dal pio ed intenso lavoro degli studiosi ed anticipatamente intuiti dal sensus fidelium. Basti pensare alla semplicità del titolo di Madre di Dio, Theotokos in greco, ed alle dispute teologiche che hanno animato il Concilio di Efeso (431), nonché alle sue complesse implicazioni filosofico-teologiche nel concetto di persona, natura, maternità e figliolanza.
Dare un titolo, un nome proprio a tali verità significa rendere semplice, intuitivo e alla portata di tutti ciò che potrebbe esser difficilmente compreso dalla maggior parte degli uomini, se presentato estesamente nelle sue cause. L’intelligenza dell’uomo si è manifestata sin dall’inizio nel dare un nome alle cose, a differenza degli animali che, seguendo gli impulsi della loro natura non intelligente, delle cose ne fanno un uso semplicemente legato agli istinti della vita biologica. Dare il nome ad una cosa o ad una azione, significa averne colto l’essenza unitaria sotto l’apparente molteplicità, averne colto il carattere permanente proprio, sotto il superficiale divenire. Fino a quando una determinata realtà non possiede un nome proprio, questa si confonde con realtà simili: è il nome proprio che porta in sé l’intuizione della differenza specifica all’interno dello stesso genere e l’intuizione, sia pure inadeguata, della singolarità individuale, all’interno della stessa specie.

Fondamenti biblico-patristici e magisteriali
Venendo al nostro caso, la spada di dolore profetizzata dal santo Simeone, e penetrata fino al fondo del Cuore Immacolato di Maria nello stesso momento in cui dal costato di Gesù sgorgavano – misticamente simboleggiati nel sangue e nell’acqua – i Sacramenti che davano vita alla Chiesa, è stata sempre considerata come il simbolo biblico di una misteriosa partecipazione di Maria al Sacrificio redentore di Cristo. Il riflesso di tale verità è apparso sin dall’inizio anche nella Tradizione extra biblica: la presenza di Maria nei primi formulari liturgici d’Oriente ed Occidente, nei quali si fa memoria di Maria, sola tra tutti i santi, nel momento stesso in cui la Chiesa perpetua il memoriale della Passione del Signore – ricordiamo il Canone di sant’Ippolito che risale ai primi anni del III secolo, testimone di una tradizione ancor più antica – è un segno di prim’ordine della Rivelazione non scritta, che aiuta a cogliere il sensus plenior dei versetti biblici in cui Maria appare associata al Figlio nel compiere l’opera della Redenzione. Anzi, aiutano a vedere tutta la Storia della Salvezza inclusa nel grande segno della Donna associata al Figlio maschio nella guerra vittoriosa contro il serpente, nemico per antonomasia di Dio e dell’uomo. Ci sono voluti 1400 anni circa affinché tale misteriosa partecipazione di Maria alla Passione redentrice di Cristo, creduta e celebrata da sempre nella Chiesa, ricevesse per la prima volta un nome proprio, che la distinguesse da ogni altra partecipazione creaturale alla stessa opera di Cristo. Questo avvenne nel XV secolo, salvo nuove scoperte, per opera di un innografo benedettino, il quale ci ha lasciato la seguente preghiera manoscritta, conservata nel monastero di San Pietro di Salisburgo: «Pia dulcis et benigna / nulla prorsus luctu digna / si flectum hinc eligeres / ut compassa Redemptori / captivato transgressori / tu corredemptrix fieres». «Pia, dolce e benigna / non meritevole di dolore / se da qui strappi la conversione / condividendo la Passione del Redentore / per il prigioniero peccatore / sei divenuta Corredentrice».
Non mancano Santi Padri che attribuiscono a Maria i titoli di Redentrice (san Giovanni Damasceno), operatrice di salvezza (sant’Ambrogio), salvezza di coloro che erano perduti (san Pier Crisologo), prima riparazione del peccato (sant’Andrea di Creta), né autori posteriori che ancor più esplicitamente attribuiscono a Maria dei titoli che in modo inequivocabile esprimono il singolare ruolo di Maria all’opera della Redenzione. In particolar modo nelle opere che vanno dal X secolo al 1750, il noto mariologo Laurentin ha enumerato un centinaio di testi in cui compare il titolo di Redentrice, ed una cinquantina in cui vi è il titolo di Corredentrice, oltre a molti altri in cui si trova il sinonimo, allora altrettanto diffuso, di Salvatrice. Tuttavia il titolo di Corredentrice si impone progressivamente nella Chiesa, fino ad arrivare agli inizi del nostro secolo in cui un illustre servo di Maria, il card. Alessio Lépicier, si è prodigato a lanciare il titolo a tutti i livelli ecclesiali, anche attraverso la pubblicazione di pregiatissimi studi sull’argomento, tradotti in varie lingue. L’efficacia di questo movimento mariologico si può constatare nel fatto che già nel 1908 il titolo di Corredentrice entrava ufficialmente negli Acta Apostolicae Sedis, seguito da altre due comparse durante il pontificato di san Pio X, nel 1913 e nel 1914. Il primo papa che personalmente usò il titolo in documenti ufficiali fu Pio XI; ne fece uso per tre volte in discorsi riportati dall’Osservatore Romano. Giovanni Paolo II, da parte sua, ha usato il titolo di Corredentrice sei volte, in discorsi ufficiali pubblicati sull’Osservatore Romano.

Explicatio terminorum
Prima di addentrarmi nei contenuti teologici del titolo, ritengo opportuno premettere una rapida explicatio terminorum. Redenzione significa etimologicamente la liberazione di una o più persone dalla schiavitù attraverso il versamento di un prezzo. Ora, dopo la colpa originale, l’uomo era schiavo del peccato, non se ne poteva liberare da solo. Gesù morendo sulla Croce ha versato il prezzo del nostro riscatto e ci ha liberati dal peccato e da tutte le sue conseguenze, donandoci la grazia. Teologicamente, la Redenzione può definirsi come «il riscatto dell’umanità dal peccato e dalla morte, realizzato da Cristo mediante l’Incarnazione, la morte e la risurrezione e mediante la varia cooperazione di coloro che a ciò son stati predestinati sin dall’eternità». In questa varia cooperazione all’Opera redentrice di Cristo si distingue per singolare eccellenza la figura di Maria, la quale è detta per antonomasia Corredentrice. Questo titolo significa letteralmente cooperatrice alla Redenzione e distingue l’opera di Maria sia da quella di Cristo, che unicamente è detto Redentore, e mai Corredentore, sia da quella dei suoi discepoli che normalmente sono detti cooperatori e non corredentori. La Corredenzione di Maria si distingue dalla Redenzione di Cristo, per il semplice fatto che l’essere ed operare di Maria sono essenzialmente dipendenti e subordinati a Cristo; si distingue dalla cooperazione dei discepoli, perché questa è subordinata a quella di Maria, oltre che alla Redenzione di Cristo. Inoltre, mentre la Corredenzione di Maria è coestensiva a tutte le fasi della Redenzione di Cristo, la cooperazione dei discepoli si estende solo all’applicazione dei frutti della Redenzione o, per dirla con i teologi del XX secolo, alla Redenzione soggettiva.

La natura della Corredenzione mariana
Esistono molti studi sull’argomento, i quali riportano fedelmente i documenti del Magistero e della Tradizione che trattano della partecipazione di Maria all’Opera redentrice di Cristo. Ora ritengo opportuno presentare a modo di sintesi ordinata le acquisizioni già formalmente recepite dal Magistero, nonché le conclusioni teologiche più sicure.
La Corredenzione si può definire propriamente come la cooperazione attiva, immediata, formale e subordinata di Maria a tutta l’opera della Redenzione.
Tutta l’opera della Redenzione: Redenzione oggettiva e soggettiva. L’aggettivo tutta che qualifica l’estensione dell’opera della Redenzione, sta per le due parti essenziali di cui si compone la stessa opera: la Redenzione in atto primo e la Redenzione in atto secondo. La Redenzione in atto primo, o Redenzione oggettiva, o fase ascendente della Redenzione, si può definire come l’acquisto della salvezza universale tramite il sacrificio voluto da Dio per riconciliare a sé il mondo. La Redenzione in atto secondo, o Redenzione soggettiva, o fase discendente della Redenzione, o mediazione della grazia, si può definire come l’applicazione dei frutti della Redenzione ai singoli individui, tramite le mediazioni volute da Dio, che realizzano l’incontro personale e santificante dell’individuo con la grazia che scaturisce dallo stesso Sacrificio redentore.
La cooperazione di Maria si estende a tutta l’opera della Redenzione, perché si estende sia alla Redenzione oggettiva, sia alla Redenzione soggettiva. Anzi, Ella è mediatrice della grazia perché è anche Colei che ha contribuito a generare quella grazia, come Madre del Verbo Incarnato e come sua generosa compagna nell’offrire al Padre il Sacrificio redentore. Ammettere che Maria partecipa solo alla dispensazione dei frutti della Redenzione, senza aver parte in nessun modo al loro acquisto, significa attribuire a Gesù un amore filiale verso la Madre più legato alla carne e al sangue che allo spirito. Infatti, se solo il legame biologico e affettivo fosse il motivo per cui Cristo rese partecipe Maria dell’economia salvifica fino alla fine dei tempi, allora avremmo una sorta di “nepotismo teologico”, ossia quella forma di privilegio sganciato da alcun merito morale, e dunque dalla giustizia, prodigato dai potenti unicamente in virtù del loro legame naturale verso i propri congiunti. Nemmeno la semplice santità di Maria può spiegare la sua singolare missione di Dispensatrice della grazia, perché proprio la singolare santità di Maria rispetto a tutti gli altri santi, non si spiega adeguatamente se non con la sua singolare partecipazione attiva al Sacrificio redentore; spiegare la santità singolare di Maria unicamente con il suo legame naturale verso Gesù, sarebbe ancora una volta cadere in una visione fisicista ed estrinseca della grazia, in netto contrasto con le parole di Gesù che invita i suoi discepoli ad identificare la sua propria parentela a partire da elementi morali e spirituali (fare la volontà del Padre). I fratelli, le sorelle le madri di Gesù sono coloro che fanno la volontà del Padre (cf. Mt 12,48-49; Mc 3,34-35; Lc 8,21). La Maternità di Maria verso Cristo ha un valore maggiore dal punto di vista dell’obbedienza alla volontà di Dio, sempre da Lei amata e fedelmente praticata, che dal punto di vista della carne che Ella diede al Figlio di Dio. Dove dunque si vede la sublime santità di Maria, superiore a quella di qualsiasi altro santo, se non nel compiere tale sublime volontà, fino al totale sacrificio del suo Cuore materno ai piedi della Croce? Questo gesto sacrificale, verso cui era protesa tutta la vita di Maria, qualifica l’eccellenza della santità di Maria, ed il suo particolare merito in ordine alla dispensazione di quella grazia che Ella contribuì a generare, come Madre del Verbo Incarnato e associata al suo Sacrificio redentore.

I Modi della cooperazione
La cooperazione, in genere, indica l’unione della propria azione a quella di un altro, per produrre con lui un’opera comune, che è il risultato di due cause, distinte nel principio, ma associate nella loro attività e nell’effetto, termine della loro azione. Nel nostro caso il termine della cooperazione di Maria con Cristo è stata la Redenzione del genere umano.

- Cooperazione attiva
Con l’espressione cooperazione attiva si intende attribuire alla Corredenzione mariana un valore non semplicemente passivo, ossia di pura accoglienza della Redenzione da parte di Maria, ma un suo personale, libero e responsabile contributo all’Opera redentiva compiuta da Cristo. Riducendo la Corredenzione alla cooperazione passiva, Maria sarebbe tutt’al più la rappresentante dell’umanità che sotto la Croce riceve i torrenti di grazia scaturiti dal Costato trafitto del Figlio, per poi distribuirli, a sua volta, a tutti gli uomini. Questo modo di intendere la cooperazione di Maria all’Opera redentiva è favorito, forse inconsciamente, dal concetto aristotelico di maternità che attribuisce alla madre, appunto, un ruolo puramente passivo, oggi diremmo da incubatrice, nei confronti della generazione della vita. Ma già il medico Galeno (II secolo d.C.), sulla base della sua esperienza professionale, indicava un diverso concetto di maternità, che assegnasse anche alla madre un concorso attivo nel processo generativo. La medicina contemporanea, ed il senso comune dell’uomo d’oggi, dà decisamente ragione al dato empirico di Galeno, piuttosto che alla deduzione meta-empirica di Aristotele.
Poiché Maria al Calvario divenne Madre degli uomini, secondo il ripetuto insegnamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, e questa Maternità risulta come il frutto della sua corredenzione, ci si deve chiedere: Maria, sul Calvario, è stata vera Madre dell’umanità, e perciò ha contribuito attivamente a questa soprannaturale generazione oppure, essendo stata semplicemente passiva, deve considerarsi Madre in senso metaforico, avendo ricevuto in consegna, a modo di incubatrice, l’umanità redenta unicamente dal sacrificio di Cristo? La risposta che emerge chiaramente dai documenti del Magistero non lascia dubbi: Maria ha cooperato attivamente alla Redenzione e perciò deve dirsi vera Madre degli uomini nell’ordine della grazia.
A tal proposito è utile ricordare che vi sono alcuni teologi – per esempio don Domenico Bertetto (SDB, † 1988) – che attribuiscono all’espressione “cooperazione attiva” un significato diverso da quello che abbiamo appena illustrato. Secondo costoro la cooperazione attiva nel campo della Corredenzione, starebbe a significare l’influsso fisico e morale esercitato da Maria sugli stessi atti redentori di Gesù. Ora, mentre è certo che Maria abbia esercitato un grande influsso sugli atti di Cristo nella vita nascosta, poiché Gesù le era sottomesso, e all’inizio della vita pubblica – basti pensare all’intervento decisivo di Maria alle nozze di Cana –, non appare altrettanto evidente l’influsso diretto di Maria sugli atti umani di Gesù che determinarono la sua volontaria immolazione sacrificale tramite la consegna ai carnefici. Per questo alcuni teologi, pur ammettendo un positivo apporto di Maria all’Opera redentrice di Cristo, negano la cooperazione attiva, perché mancherebbe di solido fondamento biblico-patristico l’influsso diretto di Maria agli atti redentivi di Cristo. Questa questione di natura più psicologica che essenziale, è di secondaria importanza e, in qualunque caso, non pregiudica la dottrina della cooperazione attiva di Maria intesa come il suo apporto personale, libero e responsabile al fine dell’Opera redentiva di Cristo.

- Cooperazione immediata
La cooperazione è detta immediata per distinguerla da quella semplicemente remota che, pur essendo vera in se stessa, non è sufficiente a spiegare adeguatamente il coinvolgimento personale di Maria nell’Opera redentiva. La cooperazione remota, fin troppo ovvia, consiste nell’avere Maria dato alla luce il Redentore. Se solo questo bastasse per definire la Corredenzione di Maria, allora anche le mamme di tutti i santi dovrebbero essere chiamate collaboratrici dell’opera realizzata dai loro figli. Se questo è vero per alcuni casi, ad esempio per la mamma di san Giovanni Bosco, non è vero per altri casi dove la mamma, terminata la sua funzione naturale, per vari motivi, è scomparsa ben presto dall’orizzonte esistenziale del figlio, come accadde per esempio a santa Veronica Giuliani, rimasta orfana di madre all’età di quattro anni. Nessuno ritiene la mamma di santa Veronica, con tutto rispetto per le sue virtù materne, propriamente la cooperatrice di santa Veronica nell’opera di riforma all’interno delle Clarisse Cappuccine. Dunque il titolo di Corredentrice indica che la cooperazione di Maria non si restringe solo alla sua Maternità naturale; oltre a dare alla luce Gesù, Ella lo accompagnò durante tutta la sua vita, unendo il suo cuore materno alla volontà di Lui, che era venuto al mondo per offrire se stesso in sacrificio di espiazione per i peccati degli uomini. Il capitolo VIII della Lumen Gentium insiste molto su questa amorosa associazione di Maria al Figlio che perdura senza soluzione di continuità dal suo fiat all’Annunciazione, fino al suo olocausto d’amore consumato sul Calvario. Per stabilire le modalità di tale associazione i teologi ed i mistici hanno profuso le loro migliori risorse, ma evidentemente si balbetta, essendo un mistero accecante, ancora in gran parte inesplorato.
In forza del principio di ricapitolazione, tracciato da san Paolo nella Lettera ai Romani e successivamente sviluppato da san Giustino e da sant’Ireneo fino a diventare il principio guida di tutta la Teologia cattolica, il peccato di Adamo ed Eva doveva essere riparato dal Nuovo Adamo e dalla Nuova Eva. Come furono entrambi i Progenitori a meritare il castigo, così è necessario – è necessità ipotetica, perché presuppone il principio di ricapitolazione, voluto liberamente da Dio – che siano entrambi, il Nuovo Adamo e la Nuova Eva, a meritare il perdono. Ed allora, a ragione, la rappresentazione del crocifisso, per essere più adeguata sia dal punto di vista teologico, sia storico, non dovrebbe mai omettere la figura di Maria, co-immolata assieme al Figlio, come Corredentrice del genere umano.
A ragione, si dice che il Sacrificio che ci ha redenti è stato unico; non perché è stato offerto da una sola persona, bensì perché è stato consumato dall’unica coppia che rappresentava l’umanità intera e ricapitolava in se stessa la disobbedienza della prima coppia. Come unica è la natura umana, pur essendo essenzialmente composta dall’elemento maschile e quello femminile, così unico è il Sacrificio redentivo dell’umanità, pur essendo composto dallo stesso duplice elemento. A questo punto bisogna chiedersi: il sacrificio di Maria sul Calvario si pone sullo stesso livello di quello di Cristo? La risposta è data dalla definizione di Corredenzione, come la cooperazione di Maria subordinata e dipendente da Cristo.
L’insistenza su questo aspetto della Corredenzione è tanto più necessaria, quanto più manca la coscienza dei presupposti fondamentali della sana Mariologia cattolica; massimamente è necessaria nel dialogo ecumenico con i fratelli protestanti ma, al contrario, è di fatto quasi assente in certi autori cattolici che si rivolgono ai fedeli devoti per accrescere la loro pietà mariana. San Massimiliano († 1941), per esempio, considerava addirittura una mancanza di rispetto verso Cristo l’insistere sulla subordinazione di Maria, perché tale insistenza rivelerebbe quasi una sfiducia nei confronti dell’indefettibile fedeltà di Maria e, essendo Maria il capolavoro di Cristo, tale imperfezione si rifletterebbe su Cristo stesso.

- Cooperazione subordinata
Tuttavia, dal punto di vista teologico è fondamentale chiarire il senso di tale subordinazione. Assolutamente parlando, il Sacrificio di Cristo, essendo di valore infinito, avrebbe meritato da solo, in modo sovrabbondante, la Redenzione dell’umanità. Non vi è dunque necessità metafisica o assoluta della cooperazione mariana, ma solo una necessità ipotetica o relativa, dato il decreto divino di ristabilire l’ordine infranto dalla prima coppia peccatrice, attraverso la ricapitolazione della storia a partire dalla nuova coppia santa.
Ma allora, se già il Sacrificio di Cristo ha guadagnato in modo sovrabbondante la Redenzione universale, che senso ha il sacrificio di Maria che riguadagna ciò che già era stato acquistato? L’obiezione avrebbe senso se i due sacrifici fossero separati; ma non lo sono. L’immolazione di Cristo e l’immolazione di Maria sono in realtà un unico Sacrificio, l’unico Sacrificio che Dio aveva preparato per riconciliare a sé il mondo. Unico Sacrificio perché unico è l’altare – la Croce –, unico è il luogo – il Calvario –, unico il tempo – sotto Ponzio Pilato –, unico il fine e l’intenzione – la Redenzione universale –, unico è lo Spirito Santo che unge l’umanità di Cristo e conduce Maria sulla stessa via tracciata dal Figlio. Ma in quest’unico Sacrificio, due sono le persone immolate – Gesù e Maria –, due sono le offerte – quella del Sacerdote e quella della Madre del Sacerdote. Essenzialmente uno, il Sacrificio redentore è anche duplice a motivo delle persone che lo realizzano. All’interno dell’unico Sacrificio redentore, la Persona divina di Cristo e quella umana di Maria cooperano come due realtà che si congiungono intimamente per divenire un unico principio operativo, al fine di compiere un atto comune (il Sacrificio), per raggiungere un fine comune (la Redenzione universale). E questa cooperazione non è parallela, bensì subordinata.

La cooperazione di Maria e l’immagine di Cana
Maria è subordinata a Cristo sia dal punto di vista ontologico, sia dal punto di vista operativo, sia dal punto di vista morale, sia dal punto di vista della grazia. È subordinata a Cristo ontologicamente perché Cristo, Verbo eterno, è il Creatore di Maria: «Per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose». E anche l’umanità di Cristo, pur essendo dipendente in natura da quella di Maria, è ciò nondimeno la causa esemplare e finale di tutte le cose, anche di Maria: «Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Maria è stata predestinata in vista di Cristo, e dunque Cristo è l’esemplare divino su cui è modellata in eterno anche Maria; se Maria ha comunicato a quel Figlio quella determinata natura, e non un’altra, è perché il Figlio stesso se l’è preparata attraverso gli splendori della creazione dell’anima di Maria, attraverso la grazia che ha infuso in quell’anima, attraverso la natura che Maria ha ereditato nella pienezza dei tempi, segnati anch’essi dall’invisibile ma irresistibile forza divina che conduce infallibilmente verso Cristo tutta la storia. Maria dipende operativamente da Cristo; in quanto Cristo è la vita («io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), ogni dinamismo vitale, sia nell’ordine della natura creata, sia nell’ordine della grazia, dipende da Lui. Maria dipende moralmente da Cristo; Ella è la perfetta discepola del Cristo («sono la Serva del Signore» (Lc 1,38), è obbediente a Cristo nella misura in cui è obbediente alla Parola di Dio («sia fatto di me secondo la tua parola») essendo Cristo la Parola, il Verbo del Padre. Anche se Cristo è a sua volta sottomesso a Maria, lo è nella misura in cui Egli stesso ha decretato il quarto Comandamento ed ha creato in Maria il riflesso più puro e fedele della volontà del Padre, che è la stessa volontà del Figlio: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 30); se Maria alle nozze di Cana cambiò effettivamente il corso degli eventi storico-salvifici, anticipando l’ora della manifestazione del Figlio, lo fece unicamente perché rientrava nei piani eterni di Dio che Ella determinasse quel tempo, e che il Figlio inaugurasse il suo ministero pubblico con il merito dell’obbedienza alla Madre. La risposta di Gesù, seguita dalla pronta esecuzione dell’intenzione materna, tende a mettere in rilievo il contributo personale di Maria, ricco della sua sensibilità squisitamente materna, senza del quale le cose sarebbero andate diversamente. Ma le cose andarono in quel modo, grazie all’intervento di Maria, precisamente perché così era stabilito dalla divina Volontà.
In altre parole, a Cana abbiamo in un’immagine la teologia della cooperazione subordinata, ma essenziale di Maria alla nostra Redenzione. «Cosa c’è tra me e te, o donna, non è ancor giunta la mia ora» (Gv 2,4): questa risposta di Gesù all’istanza materna mette chiaramente in luce il livello divino di Cristo assolutamente superiore rispetto a quello creaturale di Maria («che c’è tra me e te») e l’esistenza nella mente di Dio, tra gli infiniti futuribili, di un piano ipotetico di salvezza senza Maria («non è ancora giunta la mia ora»). Ma la pronta obbedienza di Cristo alla Madre dimostra che il piano di salvezza, vero e reale, da sempre voluto da Dio, è quello in cui è previsto l’intervento determinante di Maria, la Donna. In forza di questo piano divino in cui si ricapitola in Cristo e in Maria l’intera storia della salvezza, Maria ha sì un ruolo subordinato e dipendente, ma determinante ed essenziale.
Maria è subordinata a Cristo anche perché da Lui Ella riceve tutta la grazia che la santifica e la abilita a compiere la Sua missione di Corredentrice. Il padre Manelli riassume brillantemente il tutto nel seguente modo: «Se il peccato originale è stato commesso dai nostri progenitori Adamo ed Eva in unità di operazione, pur con responsabilità e ruoli diversi, anche la Redenzione è stata operata dai progenitori della nostra vita soprannaturale, il nuovo Adamo e la nuova Eva, in unità di operazione, con responsabilità e ruoli diversi [...]. Non è possibile contestare questa unità di operazione, che costituisce un principio unico, pur includente in sé le debite distinzioni delle responsabilità e dei ruoli di chi opera e di chi coopera. In questo senso si deve dire che fanno unità in sinergia di offerta unica tutte le sofferenze e i meriti del Redentore e della Corredentrice. Pensando al Calvario, si potrebbe dire che tutte le gocce del sangue di Cristo Crocifisso e tutte le lagrime dell’Addolorata “mescolate insieme”, costituiscono l’unico prezzo del nostro riscatto dal peccato» (Padre Stefano M. Manelli, FI, La Corredenzione mariana, Casa Mariana Editrice, 1996, pp. 12-13).

La cooperazione di Maria: un ordine a sé
La Redenzione, essendo un mistero inesauribile, può essere considerata sotto molteplici aspetti, i quali aiutano la mente umana ad entrare più profondamente nella sua infinita realtà. Ne prendiamo ora in esame solo quattro.
- Se si considera lo stato del peccatore come una schiavitù, allora la Redenzione consisterà nel riscattare lo schiavo versando un prezzo adeguato per ottenere la sua liberazione.
- Se si considera tale schiavitù come la giusta conseguenza del piacere volontario e colpevole che ha meritato il castigo, allora la Redenzione consisterà nel meritare il perdono tramite una proporzionata volontaria sofferenza innocente.
- Se si considera il peccato come una disobbedienza che offende Dio, allora la redenzione sarà dare soddisfazione all’offeso tramite l’obbedienza incondizionata.
- Se si considera che il peccato dell’uomo è un’offesa a Dio talmente grave da meritare la morte del peccatore, allora la Redenzione consisterà nel sacrificio di una vittima che si sostituisca al condannato.
Ciò che si è detto per la Redenzione, può essere applicato analogicamente alla Corredenzione:
- Maria ha contribuito a riscattare l’umanità, liberandola dalla schiavitù del peccato, versando il prezzo della sua stessa vita, amorosamente offerta assieme a quella del suo Figlio.
- Maria ha contribuito a meritare il perdono dell’umanità perduta nel piacere del peccato, per mezzo del suo dolore, volontariamente offerto assieme a quello del Crocifisso.
- Maria ha contribuito a soddisfare l’offesa della disobbedienza per mezzo della sua perfetta obbedienza, fino alla morte, in unione al Figlio.
- Maria ha contribuito al sacrificio redentore in quanto Ella fu vittima co-immolata unitamente a Gesù, e fu anche Madre sacerdotale, in quanto offrì al Padre il Figlio, immolato sul legno della croce, per la redenzione del mondo.
Poiché la teologia ha sempre insegnato una fondamentale distinzione tra il merito di giustizia ed il merito di convenienza, ci si chiede quale dei due deve attribuirsi alla Corredenzione di Maria. La risposta ce la dà san Bonaventura, il quale, considerando la dignità eccellente e singolare di Maria, giustamente le attribuisce un merito che sia a metà strada tra la stretta giustizia e la pura convenienza. Solo Gesù, essendo Persona divina, infinita, poteva meritare infinitamente così da riparare per stretta giustizia l’offesa infinita che il peccato aveva recato a Dio. L’uomo peccatore, d’altro canto, per quanto si sforzi di piacere a Dio, è sempre così imperfetto da meritare solo in senso molto largo i benefici divini, i quali vengono dispensati da Dio più per la sua benevolenza, che per il valore intrinseco di quegli atti. La Madonna, invece, non è né infinita come Cristo, né peccatrice come gli altri uomini; perciò i suoi meriti non sono né infiniti come quelli di Cristo, né tanto imperfetti come quelli degli altri uomini. Ella è una creatura immacolata, perfettissima, perciò anche i suoi meriti furono perfettissimi, nel loro ordine creaturale, in modo da esserci una certa proporzione tra il valore delle buone opere e la ricompensa divina. San Bonaventura chiama questo merito de digno, un ordine a sé, a metà fra il merito de condigno (stretta giustizia) e il merito de congruo (di benevolenza), come intermedia tra Cristo e gli uomini è la dignità di Maria.

- Cooperazione formale
La cooperazione, infine, è detta formale, ossia intenzionale, per distinguerla da quella semplicemente materiale. In altre parole, Maria non fu coinvolta inconsciamente nell’opera dell’umana Redenzione ma, sin dall’Annunciazione, Ella diede il suo pieno, libero, responsabile assenso alla Volontà divina che l’aveva predestinata ad essere la Corredentrice del genere umano, come Madre del Redentore. Ciò significa che Maria, all’annuncio dell’Angelo, comprese a fondo il senso messianico, trinitario e soteriologico della sua Maternità anche se tale comprensione di fede andava via via crescendo a motivo dell’esperienza che Ella andava facendo delle cose che le erano state preannunciate, e della grazia illuminante che progrediva in Lei.

La Corredentrice e noi
Dopo aver presentato la Corredenzione mariana in sé, è utile applicare a noi stessi, alla nostra vita, quanto abbiamo imparato dallo studio sul mistero della Beata Vergine Maria. Ci sono delle distinzioni da fare, e non di poco conto, ma l’insegnamento è chiaro: anche noi, che siamo il Corpo mistico di Cristo, abbiamo la nostra parte nell’opera della Redenzione. Si tratta di applicare il tesoro di grazie e di meriti acquistato dal Sacrificio di Gesù e di Maria, ma anche questa applicazione avviene nel segno e per mezzo della Croce. Le anime costano sangue, dicono i santi, il Sangue di Gesù, la compassione di Maria e le sofferenze della Chiesa che geme e soffre come per le doglie di un parto che si concluderà solo alla fine dei tempi, quando sarà completato il numero degli eletti.


Autore:
Padre Alessandro M. Apollonio, FI


Fonte:
www.settimanaleppio.it

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Aggiunto/modificato il 2020-03-17

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