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Beato Giovanni Brenner Sacerdote e martire

15 dicembre

Szombathely, Ungheria, 27 dicembre 1931 – Rabakethely, Ungheria, 15 dicembre 1957

János Brenner, di nazionalità ungherese, fu allievo dei padri Premostratensi e dei Cistercensi negli anni del liceo. Entrò come novizio nell’Ordine cistercense, col nome di fra Atanasio, ma gli ordini religiosi vennero presto sciolti per imposizione del governo. Divenne quindi seminarista diocesano e fu ordinato sacerdote il 19 giugno 1955. Inviato come vicario parrocchiale a Rábakethely, fu molto vicino ai bambini e ai giovani. La notte del 15 settembre 1957, fu chiamato a portare gli ultimi Sacramenti a un moribondo, ma cadde in una trappola: fu aggredito e ucciso con 32 coltellate. La sua causa di beatificazione si è svolta, nella fase diocesana, dal 3 ottobre 1999 al 31 luglio 2008, a Szombathely. L’8 novembre 2017 papa Francesco ha approvato il decreto con cui don János è stato riconosciuto ufficialmente martire. È stato beatificato il 1° maggio 2018 a Szombathely. La sua memoria liturgica, per la diocesi di Szombathely, cade il 15 dicembre, giorno esatto della sua nascita al Cielo.



Nascita e famiglia
János Brenner nacque a Szombathely, in Ungheria, il 27 dicembre 1931, secondo di tre figli. Fu battezzato quattro giorni dopo la nascita, nella chiesa francescana di Santa Barbara coi nomi di János Mária Tóbiás: anche a lui, come ai fratelli, fu dato come secondo nome quello della Madonna, in segno di devozione.
Nella sua famiglia erano molto importanti la preghiera del Rosario e la frequentazione della Messa e dell’Eucaristia. Suo padre, poi, aveva in casa una nutrita biblioteca: anche i figli potevano leggerli, ma solo dopo che lui li avesse già consultati. La madre, invece, dava spesso da mangiare alle famiglie i cui padri avevano perso il lavoro per motivi politici.

Alle elementari, interprete di san Tarcisio
Appena ebbe l’età giusta, János frequentò la scuola primaria episcopale di Szombathely. Riportò il massimo dei voti al termine dei due anni di studi: era capace d’interessarsi a tutte le materie, dotato com’era di un’intelligenza attiva e di un’indole vivace.
Nell’autunno 1938 l’insegnante di religione raccontò ai suoi allievi la storia di san Tarcisio, l’adolescente del IV secolo che protesse l’Eucaristia fino a morire da martire. Propose quindi di allestire uno spettacolo teatrale sulla sua figura e domandò chi volesse interpretare il suo ruolo: János rispose, alzando non una, ma entrambe le mani.

Studi tra i Cistercensi e i Premostratensi
Proseguì gli studi presso l’Istituto magistrale episcopale Pécs, nell’Ungheria meridionale. Lì, nel 1940, si era trasferito con la famiglia: il padre, infatti, era diventato direttore dell’ispettorato per l’industria.
Il 27 giugno 1942 terminò le scuole medie, quindi affrontò l’esame di ammissione al liceo «Lajos Nagy» di Pécs, dell’Ordine cistercense. Anche al ginnasio fu uno studente molto bravo. Ai primi di ottobre del 1946 la famiglia Brenner poté tornare a Szombathely, sempre per motivi di lavoro del padre. János, quindi, dal 7 ottobre fu allievo del liceo San Norberto, tenuto dai padri Premostratensi.

La nazionalizzazione delle scuole cattoliche ungheresi
Le scuole religiose, tuttavia, passarono sotto il controllo del governo comunista ungherese con la Legge XXXIII, varata il 16 giugno 1948. Il liceo dei Premostratensi continuò a funzionare, ma i dirigenti erano dichiaratamente atei.
Dato che la situazione non era più simile a prima, János scelse di trasferirsi a Zirc: sentiva che la sua vocazione, più forte che mai, poteva essere messa in pericolo. Seguì quindi suo fratello László, diventato, il 29 agosto 1948, fra Tobia.
Anche il liceo di Zirc, tuttavia, passò sotto il controllo dello Stato. Di conseguenza e per salvaguardare le vocazioni, l’abate Vendel Endrédy spostò le prime quattro classi superiori all’interno del convento.

Fra Atanasio, novizio cistercense
Dopo il diploma, ossia l’8 agosto 1950, János domandò di essere ammesso presso i Cistercensi. Con la vestizione religiosa, il 19 agosto, cambiò nome in fra Anastasio. Con l’inizio del noviziato, il giovane monaco tenne un diario, sulle cui pagine tracciò le sue più grandi aspirazioni: «Questo è il colmo dei miei desideri: essere Santo, essere benedetto e benedire anche gli altri!».
Disposto anche a soffrire personalmente per il bene dei peccatori, supplicava Dio: «Che io possa sempre compiere al massimo della precisione ciò che Tu mi dai come mia vocazione».

Una formazione in clandestinità
L’ammissione di fra Anastasio e degli altri novizi avvenne anche se tutti, nel monastero e fuori, sapevano che gli ordini religiosi sarebbero stati presto soppressi. Nell’ottobre 1950, il Consiglio dell’Ordine decise di disperdere i novizi in appartamenti privati di famiglie conosciute, così da garantire loro la prosecuzione della formazione, anche se clandestinamente.
Erano trascorsi appena due mesi da quando il giovane aveva iniziato il noviziato. Proseguì dunque il suo anno di formazione: intanto, frequentava l’Accademia di Teologia di Budapest come studente civile. Il maestro dei novizi dell’abbazia di Zirc, padre Lorenzo Sigmond, seguiva lui e gli altri tramite lettere o, quando possibile, visitandoli di persona nelle loro riunioni settimanali.

Seminarista diocesano
Nel 1951, sempre in clandestinità, professò i voti semplici, ma non poté rinnovarli. Dato che gli era impedito di diventare religioso, decise che avrebbe proseguito comunque il cammino verso il sacerdozio come seminarista diocesano. Era quello il percorso che, sempre per ragioni di sicurezza, i superiori sceglievano per i loro novizi, oppure li facevano inserire negli Istituti Superiori di Teologia.
Il vescovo di Szombathely, monsignor Sándor Kovács, non voleva però che si sapesse dei trascorsi da religioso di János. Gli propose dunque di entrare nel Seminario della sua diocesi di nascita e di lasciare Budapest. Anche i Seminari diocesani furono sciolti d’autorità, nel giugno 1952, e molti furono accorpati.
I seminaristi di Szombathely, compresi János e i suoi fratelli László e József, furono ammessi quindi il 13 settembre 1952 nel Seminario di Győr. Quando fu al quarto anno degli studi teologici, János fu nominato “ductor” (simile a “prefetto”) degli studenti del primo anno. In quella veste, doveva accompagnarli ad abituarsi alla vita del Seminario. I ragazzi più giovani gli si affezionarono presto, grazie al suo comportamento fraterno. Continuò poi a distinguersi per i suoi voti, sempre eccellenti, e per la sua religiosità: non di rado lo si trovava a pregare in cappella.

Gli inizi del suo sacerdozio
Il 19 giugno 1955, János fu ordinato sacerdote da monsignor Kovács, nella cattedrale di Szombathely. Celebrò la Prima Messa nella parrocchia di San Norberto del suo paese una settimana più tardi, il 26 giugno: accanto a lui c’era suo fratello maggiore, don László, mentre l’altro serviva Messa.
La sua prima omelia fu centrata sul passo della lettera ai Romani, al capitolo 8, versetto 28, dove san Paolo scrive: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio»: era quello il motto che il novello sacerdote si era scelto.

Viceparroco a Rábakethely
Il 17 agosto 1955, don János ebbe la sua prima destinazione: vicario parrocchiale presso la parrocchia di Rábakethely (oggi parte di Szentgotthárd), sul confine tra Ungheria e Austria. La parrocchia, guidata dall’arciprete Ferenc Kozma, aveva quattro succursali: Magyarlak, Máriaújfalu, Zsida e Farkasfa.
L’intesa che ebbe col parroco era visibile: grazie a entrambi, la vita religiosa della parrocchia ebbe nuovo slancio. Don János si dedicava in particolare ai bambini e ai giovani, preoccupandosi della loro educazione. Con un costante sorriso, dispensava il suo amore anche ai malati, agli anziani, ai poveri e agli zingari.
Con la sua predicazione, riuscì ad attirare alla Chiesa moltissime persone. Per il resto, il suo modo di vivere non era dissimile da quello che aveva quand’era tra i cistercensi.

All’epoca della rivoluzione ungherese
Il 23 ottobre 1956, un corteo popolare a Budapest, in solidarietà con la rivolta di Poznan in Polonia, portò ad alcuni scontri tra la polizia politica e i dimostranti. Nella stessa notte, fu sciolto il governo e venne formata una nuova squadra di ministri, guidata da Imre Nagy.
La rivolta divampò presto in tutta l’Ungheria, ma a Rábakethely gli abitanti sembravano non darle peso: anzi, attraversavano con tutta tranquillità la frontiera per l’Austria. Anche don János ci andò, un giorno, in bicicletta, ma commentò: «Questa gioia è prematura».
Al regime comunista l’azione di don János verso i giovani risultava sgradita. Il delegato dell’ufficio statale per gli affari ecclesiastici, Mihály Prázsak, cercò dunque di farlo trasferire, facendo intervenire anche monsignor Kovács. Quando lui lo fece presente al sacerdote, questi replicò: «Non ho paura: resto qui volentieri». Mentre il vescovo lo comprese, il funzionario reagì: «Bene. Allora vedremo quali saranno le conseguenze!».

Sereno anche nella prova
Don János presentiva che la sua vocazione era ancora più messa alla prova rispetto all’epoca della dispersione dei monaci. Nel suo diario scrisse: «Signore, sai che io non cerco la felicità in questa vita, da quando ho messo tutto me stesso in te… So, Signore, che tu non preservi i tuoi dalla sofferenza, dato che da essa traggono grande profitto».
Era anche sicuro di essere sotto osservazione, ragione per cui si spostava prima in bicicletta, poi in motocicletta, che all’epoca era un mezzo di trasporto raro. Una sera d’autunno, mentre tornava da Farkasfa in sella alla motocicletta, per poco non rimase travolto da alcuni tronchi d’albero, fatti rotolare lungo un pendio in modo che gli finissero davanti. Appena arrivato in parrocchia, ironizzò sull’accaduto: «Beh, me la sono cavata. Non hanno avuto fortuna!»

Le ultime ore
La mattina di sabato 14 dicembre 1957, don János celebrò la Messa nella cappella dei Santi Pietro e Paolo. Nel pomeriggio, il parroco si diresse a Farkasfa per le confessioni prima di Natale e passò lì la notte, sicuro che il suo vicario avrebbe celebrato la Messa dell’indomani. A sera, anche la perpetua lasciò la canonica e tornò a casa propria.
Testimoni oculari hanno affermato che quella sera c’era molto movimento nella cittadina vicina di Szentgotthárd. Era previsto un ricevimento per i membri della giunta comunale e, la stessa sera, si doveva svolgere il ballo della polizia. In più, il becchino di Rábakethely, mentre preparava la fossa per il funerale di un giovane, vide girare nei pressi della chiesa e del cimitero alcuni uomini, che indossavano cappotti di pelle.

La scomparsa di don János
Verso le 7.30 di domenica 15 dicembre, i fedeli non videro arrivare don János, anzi, trovarono chiuso il portone della chiesa. Mandarono un chierichetto a chiamarlo, ma non ricevettero risposta. Più tardi riprovarono: nel frattempo, era giunta la perpetua.
Riuscirono ad entrare: sulle pareti della stanza del vicario, il cui letto era vuoto e non era stato rifatto, c’erano macchie di sangue. Di lì a poco, arrivò il sacrestano di Szentgotthárd: «Il padre vicario giace a terra senza vita a Zaida, accanto alla scuola. Lo hanno ucciso», affermò. I fedeli si misero in cammino, ma furono fatti allontanare dal luogo indicato da alcuni poliziotti.

L’agguato
Solo molti anni dopo si scoprì cosa fosse accaduto. Verso la mezzanotte del 15 dicembre, un ragazzo di diciassette anni, Tibor Koczán, già suo chierichetto, era andato a chiamare don János. Gli disse che un suo zio, molto malato, era in fin di vita e chiedeva i Sacramenti.
Il sacerdote si vestì, poi indossò cotta e stola e si mise sopra il cappotto. Con una torcia elettrica e col ragazzo al seguito, salì la collina su cui si trovava la chiesa. Prese con sé, in un sacchetto appeso al collo, l’Olio Santo e la teca con l’Eucaristia; da un’altra parte mise un Crocifisso con le stazioni della Via Crucis. Dopo essere uscito dalla chiesa, decise di prendere il sentiero più breve, per arrivare prima dall’ammalato.

Il martirio
A circa cento metri dalla chiesa, don János fu assalito da alcuni uomini. Riuscì a liberarsi, ma dopo altri duecento metri venne di nuovo aggredito: grazie al suo fisico atletico ebbe la meglio, ma perse il Crocifisso che aveva con sé. Arrivò alla casa dell’ammalato, ma altri aggressori l’aspettavano lì. Prima di morire gridò: «Signore, aiutami!».
Quando il suo cadavere fu ritrovato, nella mano sinistra teneva stretta la teca con l’Eucaristia. L’autopsia riscontrò trentadue coltellate, più fratture multiple dell’osso ioide e della cartilagine della laringe. Questi ultimi erano indizi che non era stato strangolato, come confermavano anche le tracce di terreno all’altezza del collo sul suo abito e il contorno dell’orma di un piede. Fu sepolto il 18 dicembre nella cripta familiare della chiesa salesiana di san Quirino a Szombathely.
   
L’indagine civile
Le indagini sull’accaduto furono inizialmente condotte dalla squadra investigativa politica, anche sei il delitto era di natura criminale. Le autorità interrogarono molte persone, incluso il parroco, anche durante la notte. La prima ipotesi fu quella di un delitto passionale, ma non fu possibile provarlo. Lo stesso avvenne quando seguirono la pista del delitto a scopo di lucro.
Alla fine, la corte provinciale e quella comitale condannarono una persona alla pena capitale. Il movente indicato era per vendetta: don János, infatti, aveva aiutato il fratello dell’imputato a riconoscere e a seguire la vocazione al sacerdozio. Tuttavia, la Corte Suprema annullò la sentenza. In un secondo momento fu processato e condannato Tibor Koczán, che aveva attirato il vicario fuori dalla parrocchia.

La memoria riscoperta
Per decenni si cercò di cancellare il suo ricordo: il suo ritratto fu rimosso dal corridoio del Seminario di Győr. Solo nel 1981, a cinquant’anni dalla sua nascita, nella chiesa di Santa Barbara a Szombathely fu collocata una vetrata che lo raffigurava.
Nei primi anni ’90 suo fratello don József commissionò a un avvocato, Frigyes Kahler, una ricerca per accertare le effettive circostanze della morte, sulla base dei documenti disponibili. Quando il regime crollò, fu infine possibile costruire una cappella commemorativa sulla strada presso cui il sacerdote era stato ucciso, intitolata al Buon Pastore.

La causa di beatificazione
Alla fine delle indagini penali, qualcuno commentò: «Avete svolto il processo di beatificazione di János Brenner». La causa del “Tarcisio ungherese”, come fu soprannominato, iniziò effettivamente il 3 ottobre 1999 nella diocesi di Szombathely.
L’inchiesta diocesana si è conclusa il 31 luglio 2008, mentre il nulla osta era arrivato il 14 febbraio 2001. La convalida dell’inchiesta diocesana è giunta il 18 settembre 2009. La sua “Positio super martyrio” è stata consegnata nel 2014.
L’8 novembre 2017, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha approvato il decreto con cui don János è stato riconosciuto ufficialmente martire.

La beatificazione e il culto
La beatificazione è stata celebrata il 1° maggio 2018 sulla Emlékmű-domb (Collina-Memoriale) di Szombathely, presieduta dal cardinal Angelo Amato come delegato del Santo Padre. Il cardinal Peter Erdõ, Primate d’Ungheria, ha invece tenuto l’omelia. Tra i presenti, l’unico fratello rimasto in vita, don József Brenner.
La memoria liturgica del Beato János Brenner, per la diocesi di Szombathely, è stata fissata al 15 dicembre, anniversario della sua nascita al Cielo.

Autore: Emilia Flocchini
 



I suoi 26 anni di vita si intrecciano con la complicata vicenda politica del suo Paese, l’Ungheria, saggiando e mettendo a dura prova la sua determinazione di arrivare ad ogni costo all’ordinazione.
Secondo di tre figli diventati tutti preti, respira l’atmosfera di fede convinta che c’è in casa sua e si orienta fin da giovanissimo verso i Cistercensi, dai quali ha frequentato il ginnasio. Dopo la maturità entra nell’abbazia cistercense di Zirc, ma quando il governo comunista sopprime gli ordini religiosi è costretto a proseguire il noviziato in clandestinità, nei vari alloggi privati dove i novizi sono disseminati per non dare nell’occhio alla polizia, che controlla ogni riunione o movimento sospetto.
Ha appena il tempo di professare i primi voti nel 1951 con il nome di fra Anastasio che anche questa situazione clandestina diventa estremamente pericolosa; i superiori lo dirottano così verso il seminario diocesano di Szombathely e, alla chiusura di questo, prosegue gli studi teologici a Győr.
Come Dio vuole può essere ordinato prete il 19 giugno 1955 e subito inizia il suo ministero come viceparroco a Rábakethely. Si immerge nel lavoro pastorale con la freschezza del suo sorriso, la prorompente vitalità dei suoi 25 anni, l’entusiasmo della sua vocazione ben temprata.
Ha uno stile di predicazione che coinvolge e attira simpatia, galvanizza i giovani ed entusiasma i bambini; si fa apprezzare e stimare per il suo impegno che non fa distinzione di persone se non per prediligere i più deboli, anziani, poveri e zingari.
All’occhiuta polizia del regime non può sfuggire, anzi non è per niente gradito, il successo di questo giovane prete, specialmente il fascino spirituale che esercita sui giovani, quasi facesse concorrenza al governo.
È in sostanza quanto gli viene a sussurrare all’orecchio un commissario governativo, con un malcelato invito a moderare il suo ardore, smorzare i suoi toni, allinearsi insomma alle soporifiche indicazioni del partito, per continuare a vivere in pace e non correre alcun rischio.
Inutile dire che János da quell’orecchio non ci sente, ben sapendo che dello stile e del contenuto della sua pastorale deve rispondere esclusivamente alla propria coscienza; per questo ripone tutta la sua fiducia soltanto in Dio, come risponde al suo vescovo, che lo vorrebbe mettere al sicuro, magari anche trasferendolo di parrocchia.
«Mio zio è moribondo, venga a portargli gli ultimi sacramenti», gli viene a dire in canonica, nella tarda serata del 14 dicembre 1957, un ragazzo non ancora diciottenne. Il giovanissimo prete, che si sa molto scrupoloso negli impegni del suo ministero, non si fa pregare due volte, anche se la casa da raggiungere è nel vicino paese di Zsida, il tratto da percorrere è lungo e c’è anche da valicare una collinetta. Anzi, il tragitto si fa ancora più lungo e si addentra anche in zone boschive e particolarmente deserte.
Poco dopo la mezzanotte scatta l’imboscata e don János è ripetutamente colpito da numerosi fendenti di arma da taglio. È ritrovato da alcuni contadini della zona, ma i soccorsi, subito allertati, altro non possono fare che constatarne la morte, determinata da ben 32 coltellate, mentre ematomi e impronte di scarpe sul corpo rivelano il crudele pestaggio che ha provocato la frattura dell’osso del collo. Nella rigidità della morte la sua mano sinistra ancora difende da ogni profanazione l’ostia consacrata, racchiusa nella teca appesa al collo.
Le indagini, abilmente sviate dalle autorità, si indirizzano da subito sugli ambienti più vicini alla vittima, compreso il parroco e i più stretti collaboratori parrocchiali, volendo far credere motivi di gelosia o addirittura passionali.
La reazione compatta della gente, che giudica quella morte un martirio causato dall’odio per la fede che don János rappresenta, costringe le autorità ad arrestare e fittiziamente condannare a morte prima un uomo, che alcuni mesi dopo sarà scagionato, poi il ragazzo che aveva fatto da esca, anch’egli giudicato poi del tutto estraneo. Provano anche a disperdere la gente che vorrebbe intervenire al funerale, spostandone ripetutamente l’ora, ma non riescono ad impedire che gli siano tributati gli onori riservati ai martiri.
Così ininterrottamente per 60 anni, con la costruzione anche di una cappella sul luogo della morte e con le solenni celebrazioni del 2017, durante i quali e quasi a loro coronamento, da Roma è arrivata la notizia del riconoscimento ufficiale del martirio. Don János Brenner è stato quindi beatificato il 1° maggio 2018 a Szombathely.


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2018-05-05

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