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4 Missionarie della Carità Religiose, martiri in Yemen

Testimoni

+ Aden, Yemen, 5 marzo 2016

Quattro Missionarie della Carità di madre Teresa di Calcutta, suor Anselm, suor Marguerite, suor Reginette e suor Judith, sono rimaste uccise nell’aggressione compiuta il 5 marzo 2016 nella loro casa di Aden in Yemen, dove accoglievano malati e anziani. Oltre a loro, hanno perso la vita 12 impiegati che le aiutavano nel servizio ai poveri, con lo stile insegnato dalla loro fondatrice che sarà presto canonizzata.



Nella pressoché totale indifferenza dei mezzi di comunicazione, un nuovo attacco di odio ha tentato di stroncare un’opera di misericordia. Venerdì 5 marzo, nella città portuale di Aden in Yemen, alcuni uomini armati hanno preso d’assalto una casa di accoglienza per anziani, gestita dalle suore Missionarie della Carità di madre Teresa di Calcutta. L’attacco è avvenuto mentre le religiose stavano servendo la colazione, verso le 8.30 ora locale: gli uomini hanno setacciato la casa, separando le suore dagli ospiti, poi le hanno ammanettate e, infine, hanno aperto il fuoco, colpendole alla testa. In totale sono state uccise 16 persone, inclusi gli impiegati che hanno cercato di fermare gli assalitori. I fatti sono stati ricostruiti da Sunita Kumar, portavoce delle Missionarie della Carità a Calcutta, la quale ha aggiunto che la casa di cura, la cappella e le altre strutture sono andate distrutte.
La comunità aveva come superiora suor Sally: è l’unica ad essersi salvata, nascondendosi nel deposito della casa dopo aver sentito il grido con cui una delle guardie ordinava la fuga. Alcuni soccorritori l’hanno poi trovata, tremante e in lacrime, e l’hanno portata al sicuro. Ciò nonostante, la religiosa ha dichiarato che continuerà a servire i poveri.
Le consorelle uccise, invece, sono suor Annselna (o, più probabilmente, Anselm; la grafia esatta sui siti d’informazione oscilla tra le due), indiana (57); suor Margarita (o Marguerite) (44) e suor Reginette (32), ruandesi; suor Judith (41), kenyana. Del sacerdote salesiano che viveva con loro, padre Tom Uzhunnalil, si sono invece perse le tracce.
La presenza yemenita delle suore di madre Teresa rimonta al 22 agosto 1973, quando venne inaugurata la prima casa (o, come preferiva dire la fondatrice, il primo Tabernacolo) a Hodeidah. Sono seguite le fondazioni a Taiz, nella capitale Sana’a e, il 19 marzo 1992, ad Aden, teatro del massacro di venerdì. Come prescritto dalla loro Regola, le Missionarie uccise assistevano chiunque avesse bisogno di un posto dove morire in pace, accudito e rispettato come uomo e come figlio di Dio, a qualunque religione appartenesse.
Non sono, comunque, le prime della loro congregazione a versare così il loro sangue. Sempre nello Yemen, suor Tilia, suor Anetta e suor Michaela sono state uccise nel 1998 mentre uscivano dall’ospedale di Hodeidah e stavano tornando a casa. L’anno successivo, a Freetown in Sierra Leone, sei suore furono prese in ostaggio: tre (suor Maria, suor Carmeline e suor Swewa) vennero uccise subito, mentre un’altra (suor Hindu) morì due settimane dopo a causa delle ferite; dopo essere stata colpita, perdonò il suo uccisore.
Di cattolici, in Yemen, ormai non c’è più quasi nessuno. Anche a causa della guerra che ha diviso a metà il Paese, sono fuggiti in altre località. Lo scorso dicembre, nel caos che domina lo Stato, è stata fatta saltare in aria una chiesa risalente agli anni ’50 del secolo scorso, quando Aden era un protettorato britannico. È in corso una vera e propria lotta tra Arabia Saudita e Iran, che intendono allargare le loro zone d’influenza. L’attentato non è comunque ancora stato rivendicato da forze terroristiche precise: Al Qaeda, ad esempio, ha negato ogni proprio coinvolgimento.
Molte sono state, in questi giorni, le voci autorevoli che hanno parlato di un martirio in piena regola. Monsignor Camillo Ballin, vicario apostolico dell’Arabia settentrionale, ha affermato che l’accaduto è «un segno che questa Congregazione è molto vicina è Gesù Cristo, perché chi si avvicina a Gesù Cristo si avvicina anche alla sua croce. Nessun cristiano che resta lontano da Cristo sarà mai sfiorato da persecuzione, ma chi si avvicina a Cristo è coinvolto nella sua passione e nella sua morte, per esserlo anche nella gloria della sua vittoria», pur invitando a non criminalizzare indistintamente tutto l’Islam. A fargli eco, monsignor Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia del Sud: «Si tratta di un qualcosa che ha a che fare con la religione», aggiungendo che le suore «avevano deciso di rimanere qualsiasi cosa capitasse, perché questo fa parte della loro spiritualità».
Il cardinal Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, ha invece ricordato: «Proprio come la beata Madre Teresa di Calcutta, l'unico desiderio delle quattro Missionarie della Carità è stato quello di placare quella sete [di Gesù] per le anime. Un servizio fatto per amore personale nei confronti di Gesù, attraverso il loro servizio per il popolo dello Yemen». Invece il Segretario di Stato vaticano, il cardinal Pietro Parolin, ha mostrato tutto il suo sgomento: «Che male avevano fatto quelle suore? Anche quella povera gente che assistevano, in mano di chi resterà?».
Lo stesso porporato ha riferito, in un messaggio, le parole di cordoglio di papa Francesco, contenute in un telegramma indirizzato alle autorità ecclesiastiche in Yemen e alla superiora generale delle Missionarie della carità, suor Mary Prema Pierick. Oltre alla promessa di preghiere di suffragio per loro, per i loro cari e per quelli delle altre vittime, «In nome di Dio, chiede a tutti coloro che sono coinvolti nel conflitto in corso di rinunciare alla violenza e rinnovare il proprio impegno per il popolo dello Yemen, in modo particolare per i più bisognosi, che le Sorelle e i loro aiutanti cercavano di servire».
Lo stesso Pontefice, durante l’Angelus di domenica scorsa, ha completato quanto aveva già scritto nel telegramma e riferendosi a tutte le sedici vittime: «Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi e anche dell’indifferenza, di questa globalizzazione dell’indifferenza». Eppure viene da pensare che, se nel gruppo ci fossero state suore di qualche altra congregazione meno nota, probabilmente la notizia sarebbe rimasta nei lanci delle agenzie o, nella migliore delle ipotesi, nelle pagine di quotidiani e riviste specializzati, mentre alle religiose sarebbe stata destinata una brevissima menzione nell’elenco dei missionari uccisi che viene diramato ogni anno.
Ad ogni modo, loro restano un luminoso esempio di generosità, che incarna senza sconti il carisma fatto proprio da madre Teresa, che ci apprestiamo a venerare ufficialmente come Santa, e che concretizza la preghiera riferita da monsignor Hinder che ogni giorno, anche quello precedente la morte, recitavano dopo la Messa: «Signore, insegnami a essere generoso, a servirti come tu meriti, a dare senza far calcoli, a lottare senza preoccuparmi delle ferite, a lavorare senza cercare riposo, a prodigarmi senza aspettare altra ricompensa che la consapevolezza di sapere che ho fatto la tua santa volontà».
 


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2016-03-08

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