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Mons. Beniamino Socche Vescovo

Testimoni

24 aprile 1890 - 16 gennaio 1965


Arrivò come Vescovo di Reggio Emilia il 12 maggio 1946, dopo che i partigiani comunisti in quella sua diocesi avevano ucciso in odio alla fede e al sacerdozio cattolico, una decina di preti, tra i quali il seminarista Rolando Rivi (1931-1945) di soli 14 anni, ora "Beato". Il 18 giugno 1946, i comunisti ammazzarono ancora don Umberto Pessina, parroco di S. Martino di Correggio.
Non era venuto a Reggio di sua volontà, ma per obbedienza al S. Padre Pio XII, che l’aveva incoraggiato dicendogli: "Coraggio, fratello, ella avrà sempre il Papa dalla sua parte". Non gli mancava certo il coraggio né l’ardore apostolico. Quattro giorni dopo l’assassinio di don Pessina, nella festa del Corpus Domini, Mons. Socche, in cattedrale tuonò:
"Siamo colpiti da un dolore che ci prende sino alla profondità dell’anima… Aspettiamo quanti giorni vorranno perché sia scoperto il vandalo di questo esecrando delitto, poi se non si riuscisse, faremo palese all’Episcopato cattolico del mondo intero le condizioni di terrore in cui si trovano i nostri paesi. Se poi si uccidesse anche il Vescovo, sappiate che il Vescovo sarà ucciso perché voleva a qualunque costo, andare in fondo a questo orribile delitto, affinché cessino per sempre le condizioni di terrorismo in questa nostra vita".
In una parola, Mons. Socche disse "Basta, ora basta!", il grido che percorse l’Italia e valicò le Alpi… Quel suo grido fece qualcosa di più: cooperò a salvare l’Italia dal comunismo, pronto a giungere al potere con ogni mezzo, legale o illegale.

Per Dio e per l’uomo


Beniamino Socche era nato a Vicenza il 24 aprile del 1890, da cattolicissima famiglia, in una diocesi ricca di risorse: fede sincera e viva, costumi buoni, attaccamento a Gesù e alla sua Chiesa, Azione cattolica che investiva ogni campo e categoria di persone, un Clero in prima linea.
Giovanissimo, entra in Seminario dove trova una formazione teologica e spirituale luminosa. Il 2 luglio 1913, a 23 anni, è ordinato sacerdote dal Vescovo diocesano Mons. Ferdinando Rodolfi (1866-1943), coraggioso pastore. Viene mandato, come 1° incaico, cappellano e maestro elementare a S. Pietro in Gu, dove rimane fino al 1927, con la parentesi della prima guerra mondiale, quando veste la divisa come soldato e si prodiga con amore sacerdotale a favore di feriti e di morenti, a sostegno dei giovani in condizioni terribili nelle trincee e nei campi di battaglia.
Nel 1927 è trasferito come economo spirituale a Marano Vicentino dove porta, in nome di Gesù, pace e serenità a una popolazione in subbuglio. Più difficile la sua missione a Marostica quale delegato vescovile l’anno seguente. Pregare, lavorare in molte umiliazioni; fare la carità a tutti: ecco il programma di don Socche nel suo ministero fatto, fin dall’ordinazione, di generosità e fervore ammirevoli con la preghiera, l’assiduità al confessionale e la predicazione calda e dotta anche nelle parrocchie vicine, con la dedizione ai ragazzi nell’insegnamento e nella loro formazione.
"Sono il più felice parroco del mondo", scrive nel 1932, alla sorella suora salesiana, quando va parroco a Arcole. Si manifesta, per l’amore a Gesù e alla Verità che sempre lo mobilita, la sua ricca personalità: organizzatore e scrittore di teologia e di ascetica. Ha idee chiare e essenziali: incentrato sempre di più in Gesù Cristo, cultore della Verità e della sana Dottrina, appassionato della Liturgia, tutto in un’atmosfera di intensa devozione e consacrazione alla Madonna. Nel 1934, la sua prima pubblicazione: "Gli esercizi di S. Ignazio dal Vangelo e dai Santi Padri".
Nel 1935, va parroco a Valdagno, grande parrocchia e vivace centro operaio verso cui gravita la vita religiosa e civile della vallata. È ora il vasto campo delle più belle esperienze pastorali con l’istruzione religiosa nelle più diverse forme come base e la devozione filiale alla Madonna che pervade tutto. Dovunque passa, don Socche, nelle tappe dove è chiamato, annuncia e rende presente Gesù, cerca mai l’avanzamento personale (che mai lo tocca) ma sempre la salvezza e la santificazione delle anime nella vita della Grazia e il Paradiso come meta.
Sempre e dovunque, animato dall’amore a Dio e all’uomo, dalla passione delle anime da salvare. Austero e dolce come una madre. Difensore della Verità, ma sempre capace di dare la sua mano forte per condurre gli erranti e i peccatori alla Verità.

Vescovo e "consul Dei"

Il 4 febbraio 1939, Papa Pio XI lo nomina Vescovo di Cesena in Romagna. È uno degli ultimi Vescovi nominati da Pio XI che va incontro a Dio il 10 febbraio 1939. Solo sei anni, rimane a Cesena, in un tempo difficilissimo di guerra; di bombardamenti, di sfollamenti. Lui si rivela operosissimo, davvero nato e cresciuto per le situazioni più difficili.
Il suo programma è dato dal Catechismo e dall’Azione Cattolica. Ama e difende i sacerdoti, cura il suo Seminario, tiene una visita pastorale, organizza missioni al popolo, promuove conforto e assistenza a chi soffre con forme straordinarie negli ultimi mesi del conflitto mondiale, difende la città quando molte autorità cittadine fuggono in Veneto.
Quando, a guerra finita potrebbe respirare un po’, eccolo, Mons. Socche, promosso Vescovo di Reggio Emilia (promosso? piuttosto caduto dalla padella nella brace!), dove il suo episcopato sarà una continua lotta per il trionfo di Gesù, della Verità, dell’amore a Dio e all’uomo che più è perseguitato dalla furia del comunismo intrinsecamente perverso. Nella situazione dell’immediato dopo-guerra a Reggio non poteva essere mandato un Vescovo migliore: una vera roccia, un vero "consul Dei", - console di Dio – difensore della città e della popolazione e della diocesi, come i Vescovi del 4° e del 5° secolo, chiamati a difendere le città d’Italia e d’Europa dai barbari.
La diocesi di Reggio e l’intera Emilia Romagna, forse più che le altre regioni di Italia, era vittima del materialismo ateo e della violenza comunista. Fin dal suo primo ingresso a Reggio, Mons. Socche si mostrò acerrimo e implacabile avversario del comunismo ateo e omicida. Come abbiamo già scritto, ebbe larga risonanza in Italia e nel mondo la sua energica azione per stroncare la spirale di violenza delle uccisioni dei preti, dei quali l’ultimo ucciso fu appunto don Pessina.
Durante tutto il suo episcopato, Mons. Socche continuerà con i suoi ardenti discorsi, i suoi articoli chiarissimi e la sua opera senza paura alcuna, a mantenere un atteggiamento inflessibile contro le dottrine ateo-materialiste del comunismo. Egli, come un padre rimproverava ai figli l’errore, l’infedeltà, la trasgressione dei Comandamenti di Dio, ma in cuore suo li amava del vero amore, che non è quello di dialogare a vuoto, ma si convertirli e cercare la salvezza delle loro anime.
Nel medesimo tempo, a Mons. Socche stava molto a cuore l’elevazione della classe operaia e dei diseredati, che lui cercava soltanto "in Gesù Cristo": la "questione sociale" anche oggi si risolve solo grazie al Vangelo e non c’è altra via: in alio non èsta salus. Non c’è salvezza in altri. Di qui le molteplici iniziative in campo assistenziale e sociale, sia a Cesena che a Reggio.
Su di lui, don William Pignagnoli, sacerdoti della sua diocesi, ha scritto la bella biografia, cui attingiamo e cui rimandiamo. Nell’introduzione troviamo scritto: "Vent’anni di Socche a Reggio. Un impavido lottatore. Maestro della fede che vuole conservata e alimentata con manifestazioni religiose comunitarie, come "la peregrinatio Mariae" e i congressi eucaristici. L’animatore delle organizzazioni laicali cattoliche e di ogni opera buona, il costruttore del nuovo Seminario, il pastore sollecito di tutti e soprattutto dei lavoratori e dei poveri".

"Il Vescovo della Madonna"


Un episcopato seminato di continuo patire, configurato alla croce di Gesù. Quindi fecondo assai nelle anime, nei sacerdoti che lo capirono e lo seguirono. La elevatezza della sua mente, la sua vasta cultura, la fermezza del carattere, trovarono nel dolore, illuminato dalla sua profonda fede, e nelle difficoltà opposte al suo ministero, la forza per rendere più forte il suo programma di buon pastore.
Le sue linee sono chiare: catechismo, vita eucaristica, azione cattolica, nella luce di Maria. Viveva di fede e in essa ogni avvenimento. Tutto partiva dal suo ardente amore a Gesù, alimentato dalla dottrina della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa, della vita dei Santi, degli scritti dei teologi davvero cattolici. Manifestava la sua fede distintissima nelle lunghe ore di preghiera e di meditazione, nella celebrazione della S. Messa, centro e passione della sua vita.
In modo specialissimo, la sua opera pastorale era illuminata dalla luce della Madonna, alla quale dedicò pagine di predicazione e di scritti degne di un grande "mariologo". Già a Cesena era conosciuto come "il Vescovo della Madonna": Maria è la sintesi della sua vita che tutta si svolse, in ogni momento, nella scia luminosa dell’abbandono a Maria SS.ma, Madre della sua giovinezza, Regina del suo sacerdozio, Signora del suo episcopato. "Davvero Maria SS.ma fu il sole della sua vita", come disse di lui, Mons. Franzi, Vescovo ausiliare di Novara e illustre studioso di mariologia.
Il momento più alto del suo episcopato, Mons. Socche lo visse nell’ottobre 1956, quando domenica 28, solennità di Cristo Re, davanti a tutti i Vescovi dell’Emilia e a migliaia di sacerdoti e di fedeli, celebrò la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù. Il Santo Padre Pio XII, al quale Mons. Socche aveva narrato di persona il martirio dei preti della sua diocesi e dell’Emilia, sotto il piombo dei comunisti, anche la struggente storia del piccolo Rolando Rivi (1931-1945) seminarista, oggi "beato", ucciso da partigiani comunisti in odio al sacerdozio, parlò via radio quel 28 ottobre 1956, con la forza di grandissimo profeta e maestro:
"Nessuno ignora che la vostra terra fu ed è tuttora fra le più esposte agli assalti dei nemici di Dio, i quali hanno tentato di distruggere la fede nelle menti e la grazia nei cuori. È stato seminato l’odio, diffusa l’indifferenza, insinuato il sospetto verso i ministri di Dio. In nessuna regione, forse, come la vostra, si è fatto strage di sacerdoti e persino l’infanzia ha visto insidiata la sua innocenza. Accanto a una fioritura di opere, vi sono zone dove regna la devastazione e il deserto".
Al discorso di Pio XII, Mons. Socche fece seguire la S. Messa e la sua vibrante omelia: "Emilia, terra generosa e insanguinata, ragiona e scegli! Con chi vuoi stare? Con Gesù Cristo o con i nemici di Dio? Cardinali Mondzenty, Wiszyinski e Stepinac, milioni di vittime fatte dal comunismo, e nostri preti emiliani martiri, parlate voi a questa nostra Emilia perché si decida e si salvi! Cuore Immolato di Maria, intercedi per l’Emilia! Sacro Cuore di Gesù, salva l’Emilia!".
Alla morte di Pio XII, il clima militante cambiò e si avviò a sparire… Mons. Socche, rimase e camminò impavido sapendo che non sarebbero venuti buoni frutti dalla rinuncia alla confutazione dell’errore, dalla resistenza davanti al diffondersi di idee storte e perverse. Lo disse senza paura anche a eminenti Uomini di Chiesa.
Gli rimaneva solo più da soffrire e offrire, come del resto aveva sempre fatto. Il suo cuore di buon pastore che sacrifica la vita, provato da tante battaglie e amarezza, cessò di battere nel gelo della notte del 16 gennaio 1965. Fino al giorno precedente, aveva pregato, lavorato, predicato, scritto, tenuto il timone della sua diocesi come intrepido Vescovo. Caduto sul campo: vero milite di Gesù Cristo.
Il suo piccolo seminarista martire, Rolando Rivi, da 20 anni lo attendeva in Paradiso. Rolando ora è "beato". A quando "l’ora" di Mons. Beniamino Socche e per gli altri preti martiri? La loro "ora" verrà. Il loro magistero scritto con la croce e con il sangue, sconcerta e affascina anche oggi: non l’uomo, ma solo Gesù Cristo è l’unico Salvatore e nessuno lo potrà mai fermare.


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2014-09-29

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