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Venerabile Carlo Salerio Sacerdote del PIME, fondatore

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Milano, 22 marzo 1827 - 29 settembre 1870

Carlo Salerio, nato a Milano il 22 marzo 1827, partecipò da seminarista alle Cinque Giornate di Milano. Ordinato sacerdote il 25 maggio 1850, venne ammesso nel nascente Seminario Lombardo per le Missioni Estere, germe del futuro PIME, e partì per l’Oceania. Costretto a tornare in patria a causa delle malattie che l’avevano colpito, riconobbe di avere una nuova missione: formare un gruppo di giovani, guidate da Carolina Orsenigo, alla carità verso i più poveri e abbandonati, in particolare verso le donne e le ragazze, in riparazione dei peccati. Sorsero quindi le Pie Signore Riparatrici, poi denominate Suore della Riparazione. Don Carlo morì a Milano, nella sede del Seminario Lombardo per le Missioni, il 29 settembre 1870. La fase diocesana della sua causa di beatificazione si è conclusa il 2 ottobre 2004. Il 13 maggio 2019 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Carlo veniva dichiarato Venerabile. I suoi resti mortali riposano nella cripta della casa generalizia delle Suore della Riparazione a Milano, in via padre Carlo Salerio 62, insieme a quelli di madre Carolina Orsenigo.



Nascita e infanzia
Il 22 marzo 1827 nacque, in corso di Porta Tosa 43 (oggi corso di Porta Vittoria) a Milano, il quarto dei nove figli di Paolo Salerio, negoziante di stoffe, e di Carolina Sassi, cucitrice. Al Battesimo, ricevuto nella chiesa di Santo Stefano Maggiore, gli furono imposti i nomi di Carlo Paolo Luigi Maria.
Crebbe dotato di un carattere particolarmente vivace, che gli valse il soprannome di “folletto”, ma non di meno capace di slanci generosi, come quando donava la propria parte di dolci o frutta ai piccoli spazzacamini che affollavano la città.

Vocazione al sacerdozio

A sette anni Carlo ricevette la Cresima e a dieci la Prima Comunione. In quel periodo palesò ai familiari l’intenzione di diventare sacerdote, forse anche per via dell’influsso del fratello Giovanni, primogenito della famiglia, ordinato proprio in quel 1837.
Oltre a lui i Salerio avevano offerto a Dio il secondo nato, Pietro, entrato tra i Fatebenefratelli col nome di fratel Prosdocimo. Data la giovanissima età, i genitori pensarono che fosse un entusiasmo momentaneo; tuttavia, lo iscrissero al Collegio Sant’Alessandro perché vi frequentasse il ginnasio.

Carlo seminarista
Nel 1839, con la garanzia del suo parroco don Bernardo Bassi, Carlo entrò nel Seminario della diocesi di Milano, presso la sede di Seveso; cinque anni dopo, conclusi gli studi classici, passò a frequentare il corso filosofico in quella di Monza.
Con la vestizione della talare non smise gli atteggiamenti esuberanti, ma era ugualmente valutato in maniera positiva dai superiori. Tra i suoi più cari amici c’era Giovanni Mazzucconi, nativo di Rancio di Lecco, la cui indole pacata e riflessiva sembrava compensare la sua impulsività.

Due incontri che orientano alla missione
Durante l’estate del 1845, insieme a lui e ad altri compagni di studi, venne accompagnato alla Certosa di Pavia da parte del padre spirituale dei seminaristi, monsignor Luigi Biraghi (futuro fondatore delle Suore di Santa Marcellina e Beato dal 2006). Lo scopo era incontrare padre Taddeo Supriés, dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi, che aveva tentato l’evangelizzazione delle isole Nicobar in India, ma era tornato in Occidente per malattia.
I suoi racconti, insieme a quelli del vicario apostolico di Jaffna (nell’odierno Sri Lanka) monsignor Bettacchini, che visitò il Seminario milanese nel gennaio 1847, accesero l’entusiasmo nei futuri sacerdoti, che già si vedevano missionari. Valeva in particolare per Carlo, che già in famiglia sentiva leggere gli «Annali della Propagazione della Fede» e, in quella visita, si sentì dichiarare dal vescovo missionario: «Lei andrà nelle missioni!».

Le Cinque Giornate di Milano
Ma i seminaristi ambrosiani, specie quelli che studiavano Teologia nella sede di corso Venezia a Milano, avevano ben altro a cui pensare: invece che preparare le valigie, si videro coinvolti nella rivolta delle Cinque Giornate, esplosa il 18 marzo 1848.
Carlo, che si era trasferito in quella sede dall’anno seminaristico 1846/’47, fu tra coloro che dapprima prestarono opera di carità curando i feriti e ospitando gli sfollati, poi, quando un ignoto popolano ferito irruppe in Seminario incitando a correre alle barricate, aiutò i compagni a erigere una barricata rinomata nelle cronache del tempo. Insieme ad alcuni di essi, inoltre, partecipò all’assedio di Mantova in qualità di portabandiera del “Battaglione degli studenti”, composto anche da seminaristi di Lodi, Bergamo, Como e Cremona.

Una vocazione sempre più forte
Al termine della prima guerra d’indipendenza, molti lasciarono gli studi verso il sacerdozio, ma non Carlo, il quale chiamava a casa sua i compagni che abitavano vicino per ripassare, dato che i seminari della città e molte case private erano inagibili perché occupati da militari stranieri. Le tappe verso l’altare si susseguivano: venne ordinato suddiacono nel Natale 1849 e diacono il 25 marzo 1850.
L’ideale missionario, in quell’intenso periodo, non venne meno e si concretizzò quando padre Angelo Ramazzotti, degli Oblati Missionari di Rho, poté comunicare ai seminaristi, o meglio a quelli rimasti in contatto con lui dopo che aveva predicato loro gli Esercizi Spirituali, una gradita notizia: i tempi erano maturi per l’apertura del primo seminario italiano specificatamente dedicato ai partenti per le missioni estere.
Carlo non perse tempo e il 24 maggio 1850, alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, gli domandò per lettera di venire ammesso in modo da potersi dedicare, come egli stesso scrisse, «alla salute delle anime, e principalmente di quelle che, più abbandonate, non avevano chi loro annunziasse la Parola di salvezza».

Sacerdote, poi nel Seminario Lombardo per le Missioni Estere
Il giorno dopo, nella festa della SS. Trinità, venne ordinato sacerdote; tra i compagni d’ordinazione, l’amico Mazzucconi, col quale, il 30 luglio 1850, partì in calesse per Saronno, dove si trovava la villa che Ramazzotti, da poco eletto vescovo di Pavia (poi Patriarca di Venezia; è stato dichiarato Venerabile nel 2015), aveva acquistato per farne la sede del Seminario Lombardo per le Missioni Estere.
Erano le basi di quello che, successivamente, sarebbe diventato il Pontificio Istituto per le Missioni Estere. I suoi membri si consideravano preti diocesani in missione, motivo per cui, nel corso del testo che segue, saranno denominati “don”, non “padre”.

Verso la missione
Subito iniziarono le attività di formazione, che comprendevano, tra l’altro, lo studio dell’inglese e del francese, nonché di geografia e di alcuni rudimenti di pittura. Allo scopo di perorare la causa del nascente Istituto presso papa Pio IX, don Carlo e don Paolo Reina si recarono a Roma nell’estate 1851, ricevendo buona accoglienza.
Il 16 marzo 1852, presso la nuova sede, la chiesa di San Calocero a Milano, l’Arcivescovo Bartolomeo Carlo Romilli consegnò il Crocifisso ai primi partenti: Paolo Reina, Carlo Salerio, Angelo Ambrosoli, Timoleone Raimondi e Giovanni Mazzucconi, sacerdoti; Luigi Tacchini e Giovanni Corti, “catechisti” (oggi diremmo “fratelli coadiutori”). La loro destinazione era, come sospiravano in molti, l’Oceania, cui avevano rinunciato i padri Maristi.

In Oceania
Dopo un lungo cammino via terra e, dal 10 aprile al 26 luglio 1872, via nave, i missionari approdarono a Sydney e di lì, l’8 ottobre, raggiunsero l’isola di Woodlark. Don Carlo, al vedere i primi indigeni, li considerava già suoi figli, ma il lavoro da compiere era arduo: come scrisse in uno studio intitolato «Ragguagli sugli usi e costumi del popolo woodlarkese», la popolazione sembrava interessata ai nuovi arrivati solo perché conoscevano il ferro; inoltre, praticava il cannibalismo e disprezzava neonati e anziani.
Ciò nonostante, non perse il suo buon carattere, come si deduce da una lettera inviata a un amico nei primi mesi del 1853: «Vivo allegramente con molte pene e con molte consolazioni, pene e consolazioni che non si sentono né si gustano né si attendono quando nel paese natìo si vagheggia col pensiero il vasto campo delle Missioni. [...] Si patisce, oh!, si patisce; ma al fianco il Signore, e quella pace, che gli altri rifiutano, ritorna a quelli che l’annunziano. E poi viene il sereno, e una forte speranza si dispiega, e la Voce che ti domanda forza, coraggio, costanza suona con soavità al cuore e vi porta la forza, il coraggio, lo spirito di pazienza. Beato quel giorno in cui il Signore mi tolse dal suo popolo, dal seno dei miei cari, e mi mise solo, solo con Lui, che veglia per me; beato quel giorno!».

Le malattie dei missionari e il martirio di don Giovanni Mazzucconi
Alle fatiche si aggiunsero le malattie, causate dall’assenza di anticorpi: febbri, piaghe e sfoghi cutanei. La situazione costrinse i due gruppi di missionari, quello di don Salerio e quello stanziato nell’isola di Rook, a lasciare la missione il 1° luglio 1855, per trascorrere un periodo di convalescenza a Sydney e attendere una nuova destinazione.
Quando giunsero alla capitale, appresero che don Giovanni Mazzucconi era già partito per fare rifornimenti, ma non ebbero altre notizie. In una lettera del 20 giugno 1856, don Timoleone Raimondi riferì cosa gli era successo: era stato massacrato dagli indigeni, dopo che la sua nave era rimasta incagliata in un banco di corallo. La sua morte è stata successivamente riconosciuta come martirio: dal 1984, don Mazzucconi è venerato come Beato.

Don Carlo, “quiescente” ma non nell’animo
Quanto a don Carlo mentre gli altri miglioravano, non guarì: con suo enorme dolore, dovette essere rimpatriato. La guida della Diocesi di Milano, «Milano Sacra», lo qualificava nelle edizioni 1857 e 1858 come “missionario quiescente”, ma lo era solo di nome: insegnava inglese ai confratelli del suo Istituto e continuava a chiedersi cosa Dio volesse da lui, dato che gli erano precluse le missioni.
Soprattutto, trascorreva molto tempo nel confessionale. Fu lì che, il 19 luglio 1858, venne a confidarsi con lui la giovane contessa Agnese Salazar. Era indecisa se unirsi o meno a una comunità di volontarie laiche sorta nella parrocchia milanese di San Marco, guidata da Maria Carolina Orsenigo.
Don Carlo volle parlare personalmente con questa donna: dopo quell’incontro, fu persuaso di aver trovato le persone giuste per un’opera che aveva in animo da tempo, ossia una congregazione femminile impegnata a riparare le offese ai cuori di Gesù e di Maria.

La nascita delle Pie Signore Riparatrici
Dopo mesi trascorsi a stendere un abbozzo di Regola e alla ricerca di una casa, il 2 ottobre 1859, festa dei Santi Angeli Custodi, Carolina e le sue compagne andarono ad abitare in via Brera, oggi via degli Orti. Il nome che venne dato alla nuova comunità fu “Pie Signore Riparatrici”, mentre la loro casa fu detta “Casa di Nazareth”, per ricordare il luogo da cui ha avuto inizio la Redenzione.
Lo scopo che venne a delinearsi fu l’assistenza alle donne più in difficoltà, quasi a riprendere le espressioni che don Carlo aveva scritto a padre Ramazzotti il giorno prima di diventare prete. Lui, intanto, proseguiva la sua attività di conferenziere, predicatore e pubblicista apprezzatissimo in Diocesi.

Le Suore della Riparazione e l’unione con le suore di madre Anna Maria Marovich
Il 1862 vide l’apertura del noviziato canonico e l’assunzione, in via definitiva, del nome di “Suore della Riparazione” (ogni suora, invece, ha il titolo di “Madre”), mentre si erano aperte altre case e accolti nuovi bisogni, come quelli delle ragazze sordomute.
Nello stesso anno, tramite fratel Prosdocimo Salerio, don Carlo venne in contatto con madre Anna Maria Marovich (Venerabile dal 2007), che, insieme a monsignor Daniele Canal, aveva fondato a Venezia le Suore Riparatrici del Sacro Cuore. Constatate le finalità comuni di quelle due realtà, si procedette, nel 1868, all’Atto formale di unione, di comune accordo.

L’ultima iniziativa di don Carlo
Mentre l’Italia si avviava verso l’unità nazionale, don Carlo, la cui salute peggiorava sempre più, ebbe una nuova intuizione: strappare i seminaristi costretti alla leva obbligatoria riscattandoli letteralmente, cioè pagando una tassa perché non prestassero servizio militare; ciò valeva in particolare per i più poveri tra loro.

La morte
Nel settembre 1870 si aggravò, ma aveva ancora l’umorismo dei primi anni. Di fronte ai numerosi consulti medici, che gli avevano imposto di partire per Venezia e poi di tornare a Milano, aveva commentato per lettera: «Io credo che i dottori se ne intendano un’acca!». Mentre da più parti si pregava per lui, il 25 settembre ebbe l’ultimo incontro con madre Carolina ed espresse, quasi in un testamento spirituale, le sue ultime raccomandazioni.
La sera del 28 settembre ricevette nuovamente l’Unzione degli Infermi e salutò l’amico don Giuseppe Bordoni, che aveva nominato Superiore dell’istituto. Alle cinque del mattino dell’indomani, 29 settembre, don Carlo, assistito da monsignor Giuseppe Marinoni, Superiore delle Missioni Estere di Milano, rese l’anima a Dio.
Il suo corpo, inizialmente sepolto presso il soppresso cimitero milanese del Fopponino, riposa nella cripta della chiesa della casa generalizia delle Suore della Riparazione a Milano, in via padre Carlo Salerio 62. Accanto ai suoi resti riposano quelli di madre Carolina Orsenigo, morta nel 1881.

La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
Il 4 ottobre 2003 giunse il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione presso la diocesi di Milano. La fase diocesana fu conclusa il 2 ottobre 2004, a centoquarantacinque anni dalla fondazione delle Suore della Riparazione.
Il 13 maggio 2019, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Giovanni Angelo Becciu, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Carlo Salerio veniva dichiarato Venerabile.

Le Suore della Riparazione oggi
Oggi le figlie spirituali di don Carlo Salerio sono presenti, oltre che in Italia, in Myanmar, Brasile e Papua Nuova Guinea. Il loro carisma è inoltre condiviso dall’associazione Laici della Riparazione.

Preghiera (con approvazione ecclesiastica)
O Gesù Salvatore, che per liberarci dai nostri peccati, ti sei offerto vittima al Padre e per nostro amore ti sei fatto obbediente fino alla morte di croce, noi ti preghiamo umilmente di glorificare, anche su questa terra, il tuo servo, Padre Carlo Salerio, che consacrò se stesso alla gloria della Santissima Trinità e alla salvezza delle anime più bisognose e abbandonate, perché sia, anche oggi, modello di intenso amore per l’Eucaristia e di fervente carità apostolica.
Ti supplichiamo di volerci concedere, per sua intercessione, la grazia..., che ardentemente desideriamo.
Gloria…


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2020-05-28

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