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Servo di Dio Josč Ballesta Pozuelo Seminarista e martire

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Redovąn, Spagna, 1 ottobre 1915 - 1 novembre 1936


Secondogenito figlio di Antonio Ballesta Mazòn, industriale, e di Teresa Pozuelo Sanz,  nacque il 1 ottobre 1915 a Redovàn (Alicante) in Spagna.
Cresce in un ambiente sereno e pieno di valori umani e cristiani. Nel 1928, dopo una missione popolare, tenuta dai Padri Redentoristi, nacque in lui l’ardente desiderio di diventare sacerdote, entrando nel Seminario Diocesano di Orihuela.
Coloro che l’hanno conosciuto,  testimoniano  la sua esemplarità. Il suo Parroco,  Don Francisco Asìn Grau, così lo ricorda: “Josè era un ragazzo grazioso e gradevole, da lui traspariva bontà e simpatia. La sua presenza era “magnetica” e, lo affermo senza presunzione, era un punto di riferimento per i suoi compagni di seminario. Era uno studente esemplare, disciplinato e tenace. La sua religiosità era ferma, sincera ed equilibrata, senza alti e bassi”.  Il suo percorso accademico
era brillante. La sua attenzione per il benessere spirituale di quanti lo circondavano, in seminario prima e in prigione dopo, era ammirevole. Durante la persecuzione religiosa della Repubblica Spagnola, quando non ne era impedito, era disponibile in Parrocchia come adoratore notturno e militante nell’azione Cattolica. La sua fede traspariva dalla notevole capacità pedagogica nella catechesi. L’11 febbraio 1935 professò nel Terz’ordine di S. Francesco, distinguendosi per la zelo.
Il suo fervore eucaristico e la sua pietà mariana sembravano crescere con l’approssimarsi dell’ora fissata da Dio per rendergli testimonianza con il suo sangue versato.
Cosciente dell’obiettivo distruttivo della massa che infuriava, con la sua diplomazia riuscì a sviare la folla, evitando così l’incendio del seminario di San Miguel de Orihuela. Per ben tre volte è stato imprigionato,  prima nel riformatorio di Alicante e poi insieme al fratello Antonio, nel carcere di Redovàn, dove il 15 Ottobre del 1936 scrisse l’ultima lettera alla mamma:
“Cara Madre, non credete che, perché stamattina, non vi ho detto nulla,  quando mi avete
portato il cibo, non sapevo che era il vostro onomastico.
Sì, lo sapevo, ma mi era impossibile parlarvi. Vi scrivo questa lettera per lasciare  sfogare il
mio cuore.
Per  l’assenza di Antonio e la mia, in casa avrà regnato poca allegria, ma pazienza.
Voglia Dio che trascorreremo quest’alto anno con più gioia e tutti insieme.
Offrite al Signore tutte queste sofferenze per la salvezza della patria e per il trionfo
della religione in Spagna.
Il Signore vuole, più che mai, anime che lo amino e lo adorino, e per questo ci siamo noi;
per amarlo con tutto il cuore ed erigergli un tempio spirituale nella nostra anima, che nessuno
potrà mai distruggere o incendiare.
Recitate tutti i giorni il santo rosario con molta devozione alla Vergine del Pilar, nostra patrona,
affinché  acceleri gli avvenimenti che devono portare la Pace tanto desiderata.
State tutti bene! Io, come sapete, avevo già la libertà tanto desiderata, ma il Signore ha voluto
nuovamente umiliarmi davanti agli uomini per trovare pulito il mio cuore il giorno della sua venuta
quando trionferà nei nostri cuori, perché sappiate che Cristo regnerà in noi grazie all’amore che
gli portiamo. Addio. Un abbraccio a tutti da vostro figlio.”

 Essendo stato minacciato di morte suo zio se egli non fosse stato trovato, nelle prime ore del 1 novembre 1936, Solennità di Tutti i Santi, si consegnò volontariamente, ponendosi in ginocchio sulla strada da Santomera a Fortuna, con le braccia in croce e stringendo nella mano destra un’immagine del S. Cuore di Gesù.
Dopo aver invocato il  perdono per  quelli che lo uccidevano, consegnò limpida la sua anima a Dio
gridando: “Viva Cristo Re”. Aveva ventuno anni. I due miliziani che lo avevano ucciso, nell’ora di essere giustiziati chiesero di confessarsi dicendo: “da quando abbiamo ucciso Ballesta, sappiamo che Dio esiste”.


Autore:
P. Michele M. Giuliano ofm

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Aggiunto/modificato il 2012-02-05

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