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Beata Maria Tuci Vergine e martire

24 ottobre

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Ndėrfushaz, Albania, 12 marzo 1928 - Scutari, Albania, 24 ottobre 1950

Maria Tuci, nativa del villaggio di Ndërfushaz in Albania, frequentò il collegio delle suore Stimmatine a Scutari e domandò di poter entrare nel loro Istituto religioso. Incaricata d’insegnare nelle scuole elementari di due paesi, trasmise clandestinamente anche il catechismo. Arrestata con alcuni familiari il 10 agosto 1949, fu condotta nel carcere di Scutari, dove, per non aver rivelato il nome dell’uccisore di un politico comunista e per non aver voluto concedersi a un membro della Sigurimi (la polizia di regime), subì torture atroci. A causa delle privazioni subite, venne ricoverata nell’ospedale civile di Scutari, dove morì il 24 ottobre 1950. I suoi resti mortali, riesumati dopo la caduta del comunismo in Albania, attualmente riposano nella chiesa delle Stimmatine a Scutari. È l’unica donna presente nell’elenco dei 38 Martiri albanesi beatificati il 5 novembre 2016, sotto il pontificato di papa Francesco.



Famiglia e vocazione
Maria (o Marije) Tuci nacque nel villaggio di Ndërfushaz, nel distretto di Mirdita, in Albania, il 12 marzo 1928, figlia di Nikoll Mark Tuci e Dila Fusha.
Frequentò le scuole medie superiori nel collegio aperto a Scutari dalle suore dell’Istituto delle Povere Figlie delle Sacre Stimmate, popolarmente dette Stimmatine, fondate a Firenze da suor Anna Lapini (Venerabile dal 2003). La presenza di queste religiose in Albania risale al 1879, quando, a diciannove anni dalla morte della loro fondatrice, vennero chiamate dal francescano padre Giampiero da Bergamo.
Presso di loro Maria apprese non solo le materie scolastiche, ma anche come stare accanto alla sua gente. Per questo motivo, chiese di essere ammessa tra le loro aspiranti alla vita religiosa.

Giovane insegnante
Nel 1946, insieme alla compagna Davida Markagjoni, ricevette un incarico come insegnante di scuola elementare nei paesi di Gozan e Sang da parte di monsignor Frano Gjini, vescovo-abate di Sant’Alessandro a Orosh (Shën Llezhri-Oroshit), nel distretto della Mirdita. Le due giovani erano state scelte per la loro tenacia nel difendere ciò in cui credevano e ne diedero presto la dimostrazione: in uno Stato che si avviava ad essere il primo al mondo dichiaratamente ateo, cercavano di non far dimenticare ai più piccoli la presenza di Dio insegnando di nascosto il catechismo.
Per procurare ai bambini il materiale scolastico, Maria pagava spesso di tasca propria. Inoltre, insieme con altri giovani delle scuole cat¬toliche e anche con alcuni seminaristi, si diede a distribuire volantini contro le prime elezioni-farsa del regime. Per partecipare alla Messa nella vicina cittadina di Geziq, camminava per sei o sette chilometri.

La persecuzione e l’arresto
Tuttavia la persecuzione, che già stava minacciando i cattolici e non solo, costrinse le Stimmatine di origine italiana a lasciare il Paese o a disperdersi, per l’associazione, supposta dal regime, tra “italiani” e “fascisti”.
In base alla documentazione custodita presso la Curia arcivescovile di Scutari risulta che l’11 agosto 1949, invece, toccò a lei, che era tornata in famiglia: venne arrestata, unica donna, in un gruppo di trecento persone, insieme ad alcuni familiari e conoscenti. Pochi giorni prima, il 7 agosto, era stato ucciso Bardhok Biba, segretario del partito comunista del distretto di Mirdita: evidentemente, si cercava un possibile capro espiatorio. Tra l’altro, il distretto era l’unico popolato in prevalenza da cattolici.

La prigionia
Le condizioni in cui versavano Maria, condannata a tre anni con la condizionale, e altri tre prigionieri vennero riferite in seguito: stavano in una cella priva di luce e di aria, dove l’acqua piovana arrivava fino ai materassi dei detenuti e l’unico modo per riscaldarsi era stringersi gli uni accanto agli altri.
In aggiunta a queste privazioni, la ragazza veniva prelevata dalla cella e torturata affinché svelasse il nome dell’uccisore di Biba. Ad esempio, venne chiusa in un sacco, senza vestiti addosso, insieme a un gatto inferocito; nel frattempo, il sacco era preso a bastonate. Colpito dalla sua avvenenza fisica, uno dei membri della Polizia segreta o Sigurimi, Hilmi Seiti, volle obbligarla a concedersi a lui, ma ella rifiutò decisamente; a quel punto, i tormenti furono intensificati.

La morte
A causa delle ripetute vessazioni, venne trasportata nell’ospedale civile di Scutari. Il 22 agosto 1950 alcune suore e sue compagne andarono a trovarla: effettivamente, era così malridotta che la riconobbero a fatica. Alla compagna Davida, che faceva parte del gruppo, disse: «Si è avverata la parola di Hilmi Seiti: “Ti ridurrò in uno stato tale che neppure i tuoi familiari ti riconosceranno”. Ringrazio Dio perché muoio libera!». Circa due mesi dopo, il 24 ottobre, rese l’anima a Dio.

La perseveranza delle Stimmatine albanesi
I suoi resti mortali vennero riconosciuti solo dopo la caduta del regime, da parte di alcune consorelle tra quelle che, tornate in famiglia o disperse tra i monti, erano rimaste fedeli alla loro chiamata.
Nel 1991, a seguito di alcune ricerche, si appurò che, delle cento tra suore e postulanti, ne erano rimaste ventotto, che vennero condotte in Italia a curarsi. Quelle di loro che non avevano emesso i voti poterono finalmente farlo.

L’unica donna tra i Beati martiri albanesi
Inizialmente sepolta nel cimitero cattolico di Scutari, attualmente Maria Tuci riposa nella chiesa delle Suore Stimmatine sempre a Scutari. È l’unica donna presente nell’elenco dei 38 martiri albanesi (dei quali fa parte anche il già citato monsignor Frano Gjini), beatificati a Scutari il 5 novembre 2016.
Alla sua memoria è stato intitolato un collegio per ragazze, situato a Rreshen e gestito dalle suore Serve del Signore e della Vergine di Matará, ramo femminile dell’Istituto del Verbo Incarnato.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2016-10-26

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