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Silvio Cirielli Fanciullo

Testimoni

3 gennaio 1930 – 30 giugno 1941


Solo undici le primavere del piccolo Silvio Cirielli, ma dischiuse completamente alla vita proprio come ogni fiore che sboccia nella stagione del risveglio della natura.
Forte come una roccia, Silvio eccelleva in tutti gli sport che praticava (pattinava, nuotava, cavalcava, pedalava…). Rigoglioso come un prato in fiore, la sua intelligenza vivace, brillante, fresca lo rendeva un bambino singolare, decisamente sveglio e attivo. Come tutti i bambini, non mancava di mostrare anche il suo lato più creativo soprattutto nei giochi dei quali era spesso l’ideatore; e come tutti i bambini più vivaci e creativi, era un po’ impulsivo, a volte fino alla prepotenza, per ottenere il meglio. Tuttavia, se redarguito, reagiva senza serbare il minimo rancore verso chi lo aveva richiamato o chi lo aveva infastidito. Sembrava duro e inflessibile come il granito, ma aveva in realtà un animo buono, e sensibile. Tant’è che quando la sua giovane vita incontrò la sofferenza, seppe accettarla fino in fondo, perché Dio stesso l’aveva accettata nel corpo del suo Figlio Gesù. Per una singolarissima coincidenza i momenti più importanti della sua vita hanno in comune lo stesso giorno della settimana: nasce venerdì 3 gennaio 1930; riceve la cresima venerdi 2 maggio 1940; inizia la sua personale via crucis venerdi 4 aprile 1941.
A undici anni, giovane preadolescente, coltivava sogni di futuro e faceva progetti per prepararsi a grandi cose. Ma proprio allora un ciclone di una inaudita violenza si abbatte sulla sua ancor acerba esistenza come, di riflesso su quella dei suoi cari, spazzando via inesorabilmente sogni e progetti. Un improvviso attacco acuto di appendicite lo prostra in breve tempo. Silvio tuttavia lo sopporta da eroe, preparando così corpo, anima e psiche alla sofferenza che sta per arrivare. Il fisico non regge quasi più ma tutto il resto è sempre al massimo. Non si indebolisce la fede, non vacilla nemmeno per un attimo la sua forza morale. Tutt’altro: il dolore lo matura velocemente ed egli è capace di offrirsi come sacrificio. Qualche giorno dopo quel venerdì di passione un altro attacco obbliga i genitori a chiamare d’urgenza i medici: la diagnosi fu di perforazione ed infiammazione peritoneale. Per 36 ore lotta tra la vita e la morte perché le sue precarie condizioni fisiche rendevano impossibile un intervento chirurgico.
Nel letto dell’ospedale non dimentica di recitare tutte le sere le sue preghiere insieme alla mamma che le sta sempre accanto e un volta gli chiede: “ Silvio chi ti è vicino in questi momenti in cui soffri tanto?”. E Silvio con voce sottile ma decisa: “Dio”, rispose. Trascorse quelle ore lunghe e terribili i medici con stupore constatarono buone le condizioni del polso e disposero ogni cosa perché avesse luogo l’intervento. Dopo 35 giorni di degenza, quel “cavallino da pista” come lui stesso si definiva, fece ritorno a casa, ma la sua situazione non migliorò. Il 30 giugno all’ospedale di Bari viene nuovamente operato. A fine intervento ecco l’epilogo: delirio e un’arsura bruciante durate 23 ore, al termine delle quali Silvio lasciò la sofferenza terrena per ricongiungersi al Padre. Aveva accettato quel dolore. Nelle ore in cui lottava tra la vita e la morte diceva alla mamma: “ È proprio il Signore che lo ha voluto, perciò mi ci rassegno”. Nelle sue ultime parole, suggeritegli dalla madre è espressa con fervore la volontà di unirsi a Dio: “Grazie Gesù, ti amo, sono tuo per la vita e per l’eternità”.


Autore:
Serena Manoni


Fonte:
www.sdb.org

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Aggiunto/modificato il 2009-02-03

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