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Venerabile Jan Leopold Tyranowski Laico

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Cracovia, Polonia, 9 febbraio 1901 – 15 marzo 1947

Jan Leopold Tyranowski, polacco di Cracovia, fu avviato dal padre a studi da contabile. Schivo e amante della vita ritirata, preferì lavorare nella sartoria paterna, in modo da avere più tempo da dedicare alla preghiera, alle letture spirituali e alla frequentazione della sua parrocchia, intitolata a san Stanislao Kostka e retta dai Salesiani. Quando il suo direttore spirituale lo spronò a occuparsi dei giovani, la sua vita cambiò: il suo appartamento divenne un vero e proprio cenacolo, dal quale uscirono almeno undici vocazioni sacerdotali. Una in particolare è diventata famosa a livello mondiale: quella di Karol Wojtyła, poi Papa, all’epoca un semplice studente universitario. Jan Tyranowski proseguì nel suo apostolato anche durante la seconda guerra mondiale, quando la comunità salesiana venne deportata a Dachau. Morì per un’infezione al braccio il 15 marzo 1947; aveva 46 anni. La sua inchiesta diocesana si è svolta a Cracovia dal 1946 al 2000 ed è stata convalidata nel 2001. I consultori teologi hanno approvato la sua “Positio” il 15 settembre 2015. Il 20 gennaio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui è stato dichiarato Venerabile. I resti mortali di Jan Tyranowski sono venerati nella chiesa di San Stanislao Kostka a Cracovia-Dębniki.



Come si “alleva” un papa: ce lo potrebbe spiegare Jan Tyranowski, che tra i suoi molti meriti (la maggior parte dei quali noti solo a Dio) ha sicuramente quello di aver avuto un ruolo fondamentale nella formazione umana e sacerdotale di Karol Woityła.
E l’ammirazione sarà ancor più grande se si considera che era un semplicissimo sarto e nulla più. Per scelta, perché i genitori lo han fatto diplomare e continuano a sognare per lui un lavoro da contabile in qualche grossa ditta o magari in banca, mentre lui sceglie di lavorare nella sartoria casalinga di papà, per aver più tempo da dedicare a Dio e perché, forse per timidezza, non se la sente di restare a contatto con il pubblico.
In realtà si rivelerà un grande comunicatore, soprattutto delle cose che riguardano Dio, e la sua opera si rivelerà provvidenziale, non solo per la sua parrocchia, ma addirittura per la Chiesa universale.
Nasce il 9 febbraio 1901 a Cracovia e, insieme ai vestiti, gli riesce di cucire anche la vita spirituale di centinaia di giovani: perché a loro dedica, in effetti, tutta la sua vita, con un apostolato inedito e certamente non programmato, che gli cresce tra le mani al di là di ogni più rosea previsione.
Che sia innamorato di Dio lo si vede a occhio nudo, che abbia sete di infinito lo si intuisce dal suo stile di vita: sobrio, essenziale, nutrito da profonde letture mistiche, tra le quali preferite sono le opere di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa d’Avila.
Pur avendo una spiccata tendenza per la vita solitaria (tanto da essere paragonato ad un monaco nel mondo), non si sottrae all’apostolato attivo, soprattutto grazie ad una illuminata direzione spirituale, che gli evita la caduta in un eccessivo solipsismo e lo proietta invece nell’intensa attività dell’Azione Cattolica e nella pastorale della sua parrocchia. Che, essendo retta dai salesiani, non può non guardare con particolare predilezione ai giovani ed alla loro formazione spirituale.
Jan, pur essendovi particolarmente portato per natural inclinazione, sembra comunque sempre frenato da quelli che considera i suoi limiti, in particolare dalla difficoltà di comunicare. Fidandosi più del suo confessore che delle proprie capacità, Jan comincia così a prendersi cura dei giovani, coinvolgendoli nella pratica del “Rosario vivente”: i ragazzi si scambiano i misteri tra loro, in una sorta di catena che non si interrompe neanche di notte; poi si danno appuntamento a casa sua. I salesiani sorridono, commentando tra loro che “la gloria di Dio abita in Via delle Rose”, precisamente all’indirizzo di Jan e in parrocchia l’han soprannominato “il santo” per quell’alone di spiritualità di cui sembra circondato e che incute rispetto.
Il suo non è un apostolato di massa, fondato com’è sul contatto personale e sulla cura individuale: i ragazzi si passano la voce, l’uno accompagna l’altro, il giro degli “amici di Jan” si ingigantisce e per approssimazione si possono calcolare a centinaia i giovani che vengono in contatto con lui.
Il sarto che ritiene di non saper parlare riesce a discutere con loro di teologia fino a notte fonda; soprattutto riesce a farli innamorare di Dio, al punto che da quelle riunioni amicali sbocciano almeno undici vocazioni sacerdotali, tra cui anche quella di un universitario, che per sette anni frequenta la casa di Jan e, una volta diventato papa, racconterà (soprattutto nella commovente testimonianza contenuta nel suo libro “Dono e mistero”) il ruolo fondamentale svolto da quell’umile sarto nel discernimento della sua vocazione e nel suo conseguente ingresso nel seminario clandestino, dal quale uscirà ordinato prete il 1° novembre 1946.
La guerra obbliga Jan a rivestire un ruolo-chiave in parrocchia con la deportazione di quasi tutti i salesiani a Dachau, trasformandolo di colpo nell’insostituibile riferimento spirituale della sua comunità e permettendogli così di estendere ancora di più i benefici effetti della sua intensa attività sui giovani.
Poi arriva un’infezione al braccio, che gli procura dolori lancinanti e lentamente lo porta alla morte, dopo una dolorosissima agonia, il 15 marzo 1947, ad appena 46 anni.
La sua inchiesta diocesana, avviata il 30 settembre 1997, si è conclusa il 15 marzo 2000 ed è stata convalidata il 16 novembre 2001. Undici anni dopo è stata consegnata la sua “Positio super virtutibus”, esaminata dai consultori teologi il 15 settembre 2015. Il 20 gennaio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Jan Tyranowski è stato dichiarato Venerabile.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

«Abitava a Cracovia, a Debniki, in Via delle Rose, n. 15. Il suo nome era Jan Tyranowski. Nato nel 1900... in tutto il suo modo esteriore di essere non era per nulla differente dagli altri».
Eppure di lui scrisse un illustre Uomo del nostro tempo.
Fin da ragazzo ebbe un’intensissima formazione cristiana. Suo padre era un sarto con il laboratorio ben avviato, dove lavorava anche il figlio minore Edward e collaborava la madre, casalinga. Lui, Jan, fu avviato agli studi, a una professione in cui poteva far carriera.
Ma Jan, sin dalla prima giovinezza, rifuggiva dal movimento, dal contatto con la gente. Per questo lasciò il suo lavoro di contabile, preferendo rimanere come sarto nel laboratorio del padre... «In quelle condizioni, egli trovava la calma che gli era necessaria e quel distacco dal mondo che gli parve essere la sua vocazione. Si trattava di quella solitudine con Dio, il cui valore sociale nessuno apprezza fuori dal Cristianesimo».

Colmo di Dio
Un’esistenza semplicissima: un giovane uomo che lavorava per guadagnarsi la vita, a casa sua, come sarto, e ciò gli permetteva la libertà di dedicarsi alla preghiera quando e come voleva. Così Jan, con la Messa e la Comunione quotidiana, con il Rosario intero a Maria, meditato, assaporato, diventò un vero intimo di Dio. Anche durante il lavoro, poteva colloquiare con Gesù, con il Padre e con lo Spirito Santo, dar gloria a Dio, lodarlo e intercedere per il mondo intero. «Più tardi san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Avila diventarono i suoi principali maestri di spirito».
Un monaco nel mondo.
«La meditazione era per lui prima di tutto una ricerca di Dio, faccia a faccia. L’amore per Cristo Signore, che è Dio, era per lui un ponte per entrare nella stessa realtà trascendente divina».
Intanto lavorava nell’Azione Cattolica ed era segretario della sua sezione, adempiendo al suo dovere con una precisione straordinaria. Ma si sentiva solo un funzionario dell’apostolato e cercava un’altra via.
Quando la sua anima fu stracolma letteralmente di Dio, dal suo laboratorio di sarto, Jan, che era un solitario, tramite la sua guida spirituale, si sentì chiamato da Dio a percorrere una via nuova, mai tentata: l’apostolato vero, in mezzo alla gioventù.
– Ma io non so parlare – si giustificò Jan con il suo confessore.
– Non temere. Ti aiuterà il Signore – gli fu risposto.
E Jan ci provò.

In mezzo alla gioventù
Nella Polonia invasa dai nazisti, durante la seconda guerra mondiale, tra le atroci sofferenze e gli immancabili tristi rancori, diventò, senza quasi volerlo di proposito, il punto dell’incontro con Dio per decine e decine di giovani.
Si trovarono a radunarsi nella sua casa, fin oltre un centinaio di ragazzi e giovani, tra i 14 e i 25 anni, a pregare con il Rosario. Erano suddivisi in due sezioni, secondo l’età, uniti però secondo il metodo del «Rosario vivente», nella meditazione dei misteri del Rosario: ad ognuno il suo mistero, da approfondire, da contemplare, da vivere e da annunciare agli altri.
Ogni ragazzo era chiamato a formare poi un altro gruppo di 15 amici, ciascuno con il suo mistero, nella preghiera e nell’apostolato del Rosario.
Era la rivelazione di un santo.
«I preti della parrocchia di Santo Stanislao (erano i Salesiani di don Bosco), a Debniki, dove viveva Jan, ripetevano sorridendo:
– Guardate, ecco il santo!
E aggiungevano:
– La gloria di Dio abita in Via delle Rose».
Nel marzo del 1940, tra quei giovani del «Rosario Vivente» giunse un universitario ventenne, nato il 18 maggio 1920, brillante, dinamico, di nome Karol Wojtyla, condottovi da amici. Un po’ perplesso all’inizio, presto rimase conquistato dalla figura e dallo stile di Jan. Ma è meglio lasciarlo raccontare a Karol medesimo:
«Jan dimostrava che di Dio si può avere non solo la conoscenza, ma che di Dio si può vivere. E soprattutto ci sorprendeva, per così dire, con i fatti».
«Non era un apostolato di massa, egli agiva soprattutto mediante le conversazioni personali, durante le quali non faceva lezione, non insegnava, ma agiva secondo l’inclinazione della sua vita interiore».
«Aveva perciò – scrive Karol Wojtyla – uno scopo preciso: bisogna introdurre gli altri là dove io sono arrivato. È difficile dimenticare le conversazioni con lui. Una di queste mi resta nella memoria: quella volta che quest’uomo semplice che si lamentava con il suo confessore di non saper parlare, parlò fino a notte tarda di chi è Dio e anzi di che cosa è la vita con Dio. Non lesse parole altrui, parlò da sé. Era press’a poco luglio e il giorno si spegneva lentamente... Era l’apostolo della grandezza di Dio, della bellezza di Dio, della trascendenza di Dio» (Karol Wojtyla, I miei amici, CSEO, Roma 1993).

In fondo: la Croce
Così un semplice cristiano laico, attingendo alla sublime fonte del Salvatore, occupando la sua vita solo a parlare con Dio e di Dio, facendo scaturire l’apostolato dalla contemplazione – come insegna san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae (II-II, 188, 6) – portò molti giovani del suo tempo alle profondità di Dio, a vivere con Lui, in Lui, nell’intimità della grazia santificante, la vita divina nelle nostre anime...
Poi, per Jan, a soli 47 anni, dopo una lunga agonia, per una terribile infezione a un braccio, venne la morte, tra dolori atroci. Eppure, nell’attesa di vedere finalmente Dio, in quel giorno di marzo del 1947, era raggiante, perché tutto si compiva, come per Gesù sulla croce.
Dalla sua «scuola» di santità, presso il laboratorio di sarto, il giovane Karol Wojtyla si avviò all’intimità con Dio. Jan ebbe ancora la gioia di vederlo sacerdote il 1° novembre 1946... Seguirono anni difficili, intensi. Karol, per oltre 21 anni, è stato Papa col nome di Giovanni Paolo II.


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2017-01-23

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