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Beato Giuseppe Beotti Sacerdote e martire

20 luglio

Gragnano Trebbiense, Piacenza, 26 agosto 1912 – Sidolo di Bardi, Parma, 20 luglio 1944

Giuseppe Beotti nasce il 26 agosto 1912 a Campremoldo Sotto, frazione di Gragnano Trebbiense, in provincia di Piacenza e oggi in diocesi di Piacenza-Bobbio. Desidera diventare sacerdote, ma solo dopo il liceo, a causa della povertà della sua famiglia, entra nel Seminario Urbano della diocesi di Piacenza, passando nel 1931 al Collegio Alberoni di Piacenza. Ordinato sacerdote il 2 aprile 1938, viene inviato a Borgonovo come curato (ossia viceparroco). Nel 1940 viene trasferito come parroco della parrocchia di Sant’Ambrogio a Sidolo, un paese di montagna nel comune di Bardi: riesce a inserirsi bene e stringe buoni rapporti con i parrocchiani e con i confratelli. La seconda guerra mondiale raggiunge anche il suo paesino: don Giuseppe apre la porta a tutti, siano essi partigiani, soldati feriti o ebrei. Tra il 19 e il 20 luglio 1944, i soldati tedeschi arrivano a Sidolo per rappresaglia, dopo l’uccisione di settanta loro uomini a Pelosa di Bedonia. Don Giuseppe ha già scelto di restare, ripetendo più volte e in pubblico di essere disposto a offrire la propria vita perché gli abitanti siano salvi. Il 20 luglio, invece, il paese viene devastato. Don Giuseppe, insieme a don Francesco Delnevo e al seminarista Italo Subacchi, che hanno trovato rifugio nella canonica, decide di esporre un lenzuolo bianco per indicare che lì non ci sono partigiani, ma i tedeschi credono che il segnale vada in senso opposto. Alle 16.15 del 20 luglio 1944 i due sacerdoti e il seminarista vengono fucilati. Solo per don Giuseppe è stata aperta la causa di beatificazione e canonizzazione, per dimostrare il suo martirio in odio alla fede. Il 20 maggio 2023 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sul martirio, aprendo la via alla sua beatificazione, celebrata il 30 settembre 2023 nel Duomo di Piacenza. I resti mortali di don Giuseppe, tumulati in un primo tempo a Sidolo e traslati dopo la guerra a Gragnano Trebbiense, sono prossimi alla traslazione nella chiesa di San Michele Arcangelo della stessa città. La sua memoria liturgica ricorre il 20 luglio, giorno della sua nascita al Cielo.



Nascita e famiglia
Giuseppe Beotti, quarto dei sei figli di Emilio Beotti ed Ernesta Mori, nasce il 26 agosto 1912 nella casa coloniale dell’azienda Marchesi denominata Co’ di Sotto, a Campremoldo Sotto, frazione di Gragnano Trebbiense, in provincia di Piacenza e attualmente in diocesi di Piacenza-Bobbio. Viene battezzato lo stesso giorno della nascita nella chiesa di San Lorenzo a Campremoldo, coi nomi di Giuseppe Agostino Lorenzo.
La sua famiglia è povera e numerosa, ma affronta con fede le prove della vita, come l’arruolamento del padre, trentacinquenne, nel 1915, per la prima guerra mondiale, e la morte, tra il 1916 e il 1919, di tre figli maschi, a causa della difterite e dell’influenza detta spagnola.

Un’infanzia tranquilla
Emilio, tornato dalla guerra, comincia a lavorare come salariato agricolo nella cascina di Ermenegildo Magnani, così da mantenere la moglie e i figli rimasti, ovvero Maria, Savina e Giuseppe.
Quest’ultimo non gode di buona salute, ma per il resto cresce bene, come tutti gli altri bambini e ragazzi, con cui ama giocare. Frequenta la scuola elementare e il catechismo, ricevendo la Cresima il 26 marzo 1922 da monsignor Ersilio Menzani, da poco eletto vescovo di Piacenza.
Di carattere assomiglia alla madre, perché appare timido e di poche parole, ma nutre una grande ammirazione per suo padre, che non si vergogna di pregare in pubblico e di guidare le processioni popolari.

La vocazione
Proprio al padre, Giuseppe manifesta il desiderio di diventare sacerdote, forse perché attratto dall’esempio del suo parroco. È praticamente impossibile realizzare quell’aspirazione, a causa della povertà della famiglia e dei suoi problemi di salute.
Nel 1925, dopo il liceo, entra nel Seminario Urbano della diocesi di Piacenza. Nel 1931 viene ammesso al Collegio Alberoni di Piacenza, retto dai Preti della Missione, ovvero i Padri Vincenziani. Rimane sette anni in quella struttura che forma i futuri sacerdoti della sua diocesi e non solo, attingendo dai suoi formatori uno spirito di carità che mette in pratica subito, anche quando torna a casa in vacanza.
Ricambia così la generosità dei compaesani, che lo mantengono agli studi con le loro offerte. Conclude sempre le lettere che indirizza loro con la frase: «Pregate il Signore per me, perché possa diventare un buon sacerdote, e soprattutto un sacerdote santo».

L’inizio del ministero
Giuseppe viene ordinato sacerdote il 2 aprile 1938, Domenica in Albis, insieme ad altri sedici compagni. Celebra la Prima Messa a Gragnano Trebbiense, nella chiesa di San Michele Arcangelo, il 24 aprile 1938.
Il suo primo incarico come curato, ovvero viceparroco, è a partire dall’ottobre 1938 a Borgonovo, in Val Tidone: vi trascorre quindici mesi. La sua attenzione maggiore è per i giovani, che forma come cristiani e cittadini: fonda l’oratorio, avvia l’Azione Cattolica, ma si rende anche disponibile ad ascoltarli e a donare loro il perdono di Dio nella Confessione.
Alle ospiti dell’Istituto Andreoli di Borgonovo commissiona, retribuendole, la confezione di calze e maglie, che vengono consegnate ai poveri del paese da parte dei suoi giovani. Il suo parroco lo definisce “prete dalle mani bucate”: tutto quello che riceve, infatti, viene subito donato ad altri.

Parroco a Sidolo
Nel 1940 don Giuseppe riceve una nuova destinazione: Sidolo, nel Comune di Bardi, in provincia di Parma da ventitrè anni, sempre in diocesi di Piacenza. È un piccolo paese della Val Ceno, alle pendici del monte Pelpi, privo d’infrastrutture e perfino di una strada carrozzabile, col torrente Torcina che fa quasi da confine.
Il nuovo parroco arriva il 21 gennaio 1940: ha voluto partire nonostante il clima rigido che potrebbe compromettere la sua salute. In una lettera a monsignor Menzani, datata 25 gennaio 1943, rievoca quel giorno: «Vi era un metro di neve. La corriera per Bardi non andava. Venni con una macchina privata; assiderato dal freddo, durante il viaggio mi sentii molto male, fui portato e arrivai di notte “sine saculo et sine pera” [“senza borsa né bisaccia”, citazione dal Vangelo secondo Luca] con un tempo orribile e per un mese rimasi in pensione presso una famiglia… ubbidii e mi trovai contento».

Un parroco contemplativo
Anche la parrocchia di Sant’Ambrogio a Sidolo è altrettanto piccola e povera, ma don Giuseppe riesce a inserirsi facilmente nella sua nuova comunità, portato com’è per i rapporti umani. Vive anche una buona fraternità con altri sacerdoti, specie con quelli giovani. Con i suoi superiori, invece, ha alcune incomprensioni quando, ammalato, chiede di essere sostituito.
Il suo più grande dispiacere è di non avere tanti giovani attorno a sé, perché molti sono emigrati: nelle sue lettere col vescovo Menzani confida questo smarrimento, ma si sente anche confortato dai suoi consigli.
A Sidolo don Giuseppe capisce che per un buon parroco quello che conta di più è presentare la sua gente nella preghiera: per questo, dedica molto tempo all’Adorazione Eucaristica. Anche in questa destinazione è attento alla Confessione. A volte i giovani di Borgonovo vengono a trovarlo in bicicletta: li ospita personalmente, ma li fa anche accogliere dai suoi parrocchiani.

In prima persona per rinnovare la chiesa
S’impegna in prima persona per i lavori di restauro e ricostruzione: grazie ai parrocchiani, fa costruire nuovi altari in marmo sostituendo quelli vecchi in laterizio, come gli aveva raccomandato, nel 1940, il vescovo in visita pastorale. Anzi, lui stesso aiuta i muratori nelle operazioni.
Nel 1942, di tasca propria, acquista una statua di san Giuseppe: a chi gli domanda il perché di una spesa così esorbitante, replica che vuole «ottenere grazie di una buona e santa morte» per intercessione del Santo tanto venerato anche per quella ragione e del quale, del resto, porta il nome. Negli anni seguenti ordina anche il rifacimento del portone d’ingresso e della porticina del Tabernacolo.

Il caso delle campane
Anche a Sidolo, intanto, si comincia a sentire parlare di una nuova guerra. Il regime fascista fa sentire le proprie imposizioni, soprattutto quando, nel 1943, sotto l’occupazione nazista, viene ordinata la requisizione delle campane per fini bellici.
Don Giuseppe, al vedere scoppiare tumulti violenti in paese, invita i parrocchiani a obbedire alle autorità civili, ma allo stesso tempo prova a difendere i loro diritti. Per tale ragione, subisce un processo, il quale si conclude però con un nulla di fatto.

La carità di don Giuseppe
Dopo l’8 settembre 1943, don Giuseppe si rende disponibile a curare, ospitare e soccorrere numerosi sbandati, soldati, ex prigionieri, perseguitati politici, compresi un centinaio di ebrei. Apre la porta della casa parrocchiale, pur consapevole di correre un pericolo non da poco.
La zona tra la Val di Tero e la Val Ceno è infatti ritenuta d’importanza strategica, perché mette in comunicazione il nord e il sud d’Italia.

Le tre offerte per la sua gente
Un giorno, mentre predica a Ferriere un triduo in occasione della consacrazione della parrocchia al Cuore Immacolato di Maria, offre la sua vita perché la sua predicazione sia efficace per la gente che lo sta ascoltando. Una seconda occasione avviene quando battezza un’intera famiglia ebrea, i Ben Sion, di Belgrado, nella parrocchiale di Sidolo.
Tra il 10 e l’11 luglio 1944, a Pelosa sopra Begonia, una colonna dell’esercito tedesco perde settanta uomini: subito si parla di rappresaglie e di vendetta. Domenica 16 luglio 1944 i soldati tedeschi arrivano a Borgotaro, mentre le formazioni partigiane si sono disperse sui monti.
Quel giorno, don Giuseppe rinnova pubblicamente e solidamente, per la terza volta, la propria offerta. Abbraccia una croce e invoca: «Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!».

La scelta di restare
Ormai i tedeschi sono prossimi a entrare in paese. Alcuni parrocchiani offrono a don Giuseppe la possibilità di fuggire attraverso alcuni cunicoli e rifugiarsi in un bosco, ma lui replica: «Finché c’è un’anima da curare, io rimango al mio posto».
È sicuro che la sua vita sta per concludersi, tanto che, l’ultima volta che va a trovare la sorella Maria e i nipoti, si congeda dicendo: «Se non ci vedremo più in terra, ci vedremo in Paradiso».

L’ultima notte
Tra il 19 e il 20 luglio 1944 i tedeschi arrivano a Sidolo. Ancora una volta, don Giuseppe decide di restare e di aprire la sua casa a sei uomini, padri di famiglia: Bruno Benci, Francesco Bozzia, Antonio Brugnoli, Giovanni Brugnoli, Girolamo Brugnoli e Giuseppe Ruggeri; affamati e sfiniti, sono arrivati da Borgotaro.
Il 19 arriva anche don Francesco Delnevo, parroco arciprete di Porcigatone, che si aggiunge a Italo Subacchi, seminarista al secondo anno di Teologia nel Seminario di Parma, già in canonica per trascorrere le vacanze.
Tutti e tre passano la notte in chiesa, vegliando e pregando. Al termine del Rosario, don Giuseppe chiede alla sorella Savina, addetta alla canonica, di preparargli della biancheria pulita, perché non vuole essere toccato, in caso venisse ucciso.

Bandiera bianca sul campanile
Il 20 luglio Sidolo viene devastata dai soldati; nessuno degli abitanti viene ucciso. Dopo essersi consultati, i due sacerdoti decidono di esporre una sorta di bandiera bianca, ricavata da un lenzuolo: Italo stesso la fissa sul campanile, come segno del fatto che, in paese, non ci sono partigiani armati.
Tuttavia, quel gesto viene interpretato in segno opposto dai soldati che, verso le otto del mattino, fanno irruzione in canonica, sicuri che lì sono ospitati dei “ribelli”, ovvero i sei fuggiaschi: hanno infatti visto don Giuseppe e gli altri due che offrivano loro del pane, che si erano procurati da una famiglia amica.
Dopo aver devastato e perquisito l’ambiente, si allontanano, non avendo trovato nulla e rassicurando don Giuseppe che non gli avrebbero fatto del male. Anzi, alla richiesta di mostrare loro le sue armi, il sacerdote, senza scomporsi, si mette una mano in tasca: quando tira fuori un coltellino e afferma di volersi difendere con quello, suscita l’ilarità dei soldati e lui stesso ride con loro.
Per un’ora i tedeschi si trattengono in attesa di disposizioni dal comando generale, così da raccogliere informazioni sull’operato del sacerdote. Dopo poco tempo, diventa chiaro che don Giuseppe ha accolto anche alcuni ebrei. Per questa ragione, i militari ritornano verso le 13, annunciando che avrebbero ucciso i “pastori”, ovvero  i due sacerdoti e il seminarista.

Il martirio di don Giuseppe e l’uccisione dei suoi compagni
Sotto lo sguardo di Savina, rimasta in casa, i tre vengono collocati contro il muro di cinta del beneficio parrocchiale, e sottoposti per oltre due ore, sotto il sole, a ingiurie e interrogatori. Infine, giunge il verdetto: fucilazione per tutti, anche per i sei uomini fuggiaschi.
Prima di morire, presso il cimitero urbano, don Giuseppe e don Francesco si scambiano l’assoluzione; uno di loro concede il perdono dei peccati anche al seminarista, quindi tutti e tre si abbracciano pregando. Alle 16.15 del 20 luglio 1944 una raffica di mitragliatrice li uccide; subito dopo, vengono assassinati i borgotaresi, ma Antonio Brugnoli riesce a sopravvivere.
Don Giuseppe muore subito, colpito alla tempia. Viene trovato con il breviario nella mano sinistra, mentre la mano destra è sulla fronte, in un ultimo segno di Croce. Il suo cadavere e quelli degli altri vengono recuperati, ripuliti e composti durante la notte.
Il funerale di don Giuseppe viene celebrato il 22 luglio 1944 a Sidolo. La sua salma, sepolta nel cimitero cittadino, viene esumata il 6 luglio 1945 e traslata nel cimitero di Gragnano Trebbiense.

Il ricordo civile ed ecclesiale
Nel luglio 1977, sul monte Penna, a don Giuseppe è stata assegnata la medaglia d’oro per l’opera caritativa svolta durante la guerra. Gragnano, Borgonovo e Piacenza gli hanno dedicato una via. Sul luogo della fucilazione sono state erette tre stele, due per i sacerdoti e una per il seminarista.
I tre uccisi di Sidolo sono stati poi ricordati in un convegno, intitolato «L'eroismo dei sacerdoti diocesani nella lotta di Liberazione» e svoltosi l’8 ottobre 2005, presso la sede di Piacenza dell’Università Cattolica.
Nella stessa occasione vennero commemorati anche padre Alessandro Sozzi, don Umberto Bracchi (uccisi a Strela il 19 luglio 1944 insieme a una quindicina di abitanti del luogo) e don Giuseppe Borea (assassinato nel cimitero di Piacenza il 9 febbraio 1945).

La fama di santità e di martirio e l’avvio della causa
Tuttavia, dei tre di Sidolo, solo don Giuseppe Beotti ha goduto, nel corso del tempo, di fama di santità e di martirio, unita a una certa fama di segni.
Il 3 febbraio 2002 monsignor Luciano Monari, al tempo vescovo di Piacenza, ha promosso l’avvio della raccolta di testimonianze dei testimoni anziani ancora viventi. Il processo diocesano della causa di beatificazione si è quindi svolto a Piacenza dal 21 novembre 2010 al 7 novembre 2014, con il nulla osta datato 20 agosto 2010.

La beatificazione
Il 20 maggio 2023, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sul martirio. Il 30 settembre 2023, nella cattedrale di Piacenza, è stata celebrata la Messa con il Rito della Beatificazione, presieduta dal cardinal Semeraro come delegato del Santo Padre.
I resti mortali del nuovo Beato, la cui memoria liturgica ricorre il 20 luglio, giorno della sua nascita al Cielo, verranno traslati nella chiesa di San Michele Arcangelo a Gragnano Trebbiense.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2023-12-14

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