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Antonio Pavanello Giovane laico

Testimoni

Santa Maria di Sala, Venezia, 18 marzo 1928 – Dolo, Venezia, 9 febbraio 1956


Fino a cinque anni, correva nel cortile della sua bella casa, come un leprotto di primavera. Un bel bambino, vispo e sorridente, l’ultimo di dodici figli, coccolato da tutti. Ma un brutto giorno, la paralisi infantile e la tubercolosi ossea lo bloccarono come un tronco inerte.
Sua mamma non disperò. Alla sua nascita, il 18 marzo 1928, a Caselle de’ Ruffi di Santa Maria di Sala (Venezia), l’avevano chiamato Antonio, in onore del santo taumaturgo di Padova, del quale i suoi genitori erano devotissimi. Così la mamma prese il piccolo paralizzato e lo portò nella Basilica di Sant’Antonio a chiedere il miracolo. Lì la mamma prega con tutta la sua fede, mentre il bambino è in braccio al fratello maggiore. Passano pochi istanti e il piccolo grida forte: «Mamma, mamma, sono capace di camminare da solo». Deposto a terra, riprende a correre più di un leprotto. Miracolo ottenuto, Antonio Pavanello intraprende, un passo dopo l’altro, il suo cammino verso la santità.

Limpido e lieto
L’anno dopo va a scuola. È troppo vivace e fatica a moderarsi, ma è affascinato dal Crocifisso e da Gesù presente e vivo nell’Eucaristia. Sovente, Antonio si raccoglie ai piedi del Crocifisso in casa, in silenzio. A chi gli domanda: «Che fai?», risponde: «Penso a Lui, a quello che ha fatto per me».
Il 2 giugno 1935 riceve la prima Comunione ed è festa grande, soprattutto nel suo cuore. Da quel giorno ha il suo posto nella chiesa, in un banco proprio vicino all’altare: non manca mai alla Messa festiva e spesso durante la settimana taglia qualche gioco per non mancare alla Messa. Anche al pomeriggio, è facile trovarlo lì, «a dire tante cose a Gesù», in silenzio, proprio lui che ama correre e giocare. Il suo proposito è «Voglio vivere in grazia di Dio, sempre». Non lo dimenticherà mai.
Il 2 luglio 1936, riceve la Cresima, che a otto anni gli fa sentire il compito di essere testimone di Gesù. A Gesù che gli dona il suo Santo Spirito, chiede il dono della fortezza, perché gli è stato detto che ce ne vuole molta per affrontare la vita e l’impegno cristiano nel mondo.
Adolescente di 12 anni, ormai è studente di scuola media, con le piccole crisi dell’età. Un giorno gli scappano alcune parole grossolane. La mamma lo richiama e lui, resosi conto, le dice: «Non sono più degno di te. Vado via da casa, porto con me il Rosario e il mio libro di preghiere. Vado a far penitenza». La mamma lo trattiene, ma lui ha capito molte cose quel giorno. Ritorna ai piedi del suo Crocifisso e indugia a lungo, lì, immobile.
È affezionatissimo alla mamma, ancor di più quando, appena quattordicenne, perde il padre. È orgoglioso di un fratello più grande che si avvia al sacerdozio e che sarà un po’ la sua guida. Così, Antonio non devierà più. Ama lo studio, la letteratura, l’arte, il latino e si iscrive al Ginnasio per gli studi classici. Ma ancora di più ama il Vangelo e le Lettere di San Paolo. È ragazzo e giovane di Azione Cattolica e approfondisce la sua fede nello studio delle ragioni per credere, nella conoscenza del Credo e della Legge di Dio. Ogni giorno dedica mezz’ora alla meditazione, nel silenzio della sua camera, in un colloquio intenso con Gesù, nella revisione quotidiana del suo vivere.
Al termine del Liceo, ormai ventenne, vorrebbe darsi al teatro e diventare attore, con un segreto intento: portare Gesù anche in quell’ambiente difficile. Ma presto si orienta altrove. È occupato da un desiderio intenso di trasmettere agli altri la sua fede, di servire il prossimo con dedizione. Nel 1948, si iscrive a Medicina.

Maestro e apostolo
Ma non è la sua strada e l’anno successivo passa a Giurisprudenza. Studia con serietà, senza perdere tempo per giungere in fretta alla laurea in legge. Il suo biografo scrive: «All’Università, entra con vera mentalità apostolica. Per lui testimoniare la Verità, non è solo un dovere, ma un bisogno. Non è secondo a nessuno nel suscitare allegria e simpatia, ma a viso aperto, nei discorsi e nella vita, testimonia la sua visione cristiana con gioia e coraggio».
Una volta, mentre attende di sostenere un esame, gli viene consigliato di togliersi il distintivo di Azione Cattolica. Risponde: «Impossibile. Questa piccola Croce luminosa è la mia gloria!».
Non vuole più gravare sulla famiglia per gli studi e nel 1951, consegue il diploma di maestro, per superare l’anno successivo, il concorso e entrare in ruolo come insegnante, senza rinunciare al progetto della laurea in legge.
Con i bambini, ha una pazienza infinita, come un fratello maggiore. Il suo pedagogista prediletto è San Giovanni Bosco, con il suo sistema preventivo, che lui, prima ancora di studiare, già possiede nel sangue, per la forza della carità che lo anima.
I suoi scolari diventano la sua famiglia. I più difficili sono i più seguiti da lui. I piccoli gli si affezionano perdutamente. Lui pretende molto da loro, anche dei sacrifici, dandone per primo l’esempio. Quando qualcuno commette una mancanza o una monelleria, lui non lo castiga, ma al termine della scuola, lo conduce in chiesa a chiedere perdono a Gesù: «perché in fondo il solo Maestro è Lui, è Lui al quale tutti dobbiamo rendere conto».
Antonio è anche dirigente della Gioventù italiana di Azione Cattolica e gira per le parrocchie della sua zona a svolgere il suo incarico, con passione di apostolo. Le sue stupende conferenze affascinano i giovanissimi ascoltatori che lui educa all’amore appassionato a Cristo, alla vita in grazia di Dio, alla purezza. I suoi propositi sono: «Vivere per Gesù e per gli altri. Convincersi che il mondo nuovo può e deve cominciare da noi».
Divenuto Presidente, passa di associazione in associazione e giunge al punto di parlare di Gesù anche sulle piazze delle parrocchie, dove vengono ad ascoltarlo persino i comunisti.

Singolarmente autorevole
A 26 anni Antonio parte per il servizio militare ad Albenga. Al paese, oltre alla mamma e ai fratelli, ha lasciato il bel volto della sua fidanzata con la quale ha progettato di vivere il suo futuro in un santo matrimonio cristiano. In caserma – prova del fuoco – è ancora Gesù eucaristico che lo sostiene: «Ormai l’ambiente non gli fa più paura né tristezza. Sono felice con Gesù nella mia anima, con questo Tutto in me. Nulla mi manca: nel Tutto c’è davvero tutto: la pace, la gioia, la fortezza, la bellezza».
Alimenta con il Rosario la sua affezione a Maria e riesce a coinvolgere nella preghiera mariana anche alcuni commilitoni. Dopo qualche tempo sono in 25 a sgranare il Rosario o a impegnarsi nell’Adorazione eucaristica.
I caporali bestemmiatori, i sergenti gradassi sono vinti da questo giovane così diverso che si impone con un’autorevolezza strana.
L’ultima parte del servizio militare lo passa all’ospedale militare di Padova. Diventa subito l’amico dei compagni malati ma soprattutto smarriti e insegna loro ad offrire il dolore con Gesù Crocifisso.
Al ritorno, riprende il lavoro e gli studi. Alla fidanzata, esprime il suo sogno: «Il nostro amore non dovrà essere dispersione, ma raccoglimento in Gesù. Ci siamo custoditi l’uno per l’altra, capaci di sacrificio, di educare domani i nostri figli».
Il 9 febbraio 1956, torna a Caselle dall’ultimo esame all’Università. Ha chiesto un passaggio a un amico in moto. Una caduta improvvisa sull’asfalto, gli concede ancora poche ore di vita. Ormai è privo di sensi.
Antonio Pavanello muore, quella sera, all’ospedale di Dolo, a 28 anni.
Al suo funerale, il parroco legge alcune pagine del suo diario: «Essere uno con Gesù, come Lui è uno con il Padre, affinché insieme siamo consumati nell’unità... Ogni momento della nostra vita è un momento di Dio; è tempo di una chiamata divina... Sterminata bontà di Dio, per il dono della grazia santificante ma soprattutto per quella del Corpo Mistico di Cristo: noi viviamo e pulsiamo realmente in Lui... Pensiamo alla morte fino a vederla e sentirla necessaria, come una porta del cielo, pensiamola fino a sentirla come l’ora della gioia».


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2007-11-22

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