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San Giacomo Chastan Sacerdote e martire

21 settembre

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Marcoux, Digne, Francia, 7 ottobre 1803 – Saenamteo, Seul, Corea del Sud, 21 settembre 1839

Jacques-Honoré Chastan fu un sacerdote dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi. Dopo due anni di ministero nella diocesi di Digne, entrò nel Seminario delle Missioni Estere. Desideroso di recarsi in Corea, poté riuscirci solo nel 1835, affiancando il confratello padre Pierre Maubant e il nuovo Vicario di Corea, monsignor Laurent Imbert. A seguito dell’arresto di quest’ultimo e dei suoi numerosi appelli a consegnarsi alle autorità, per evitare la dispersione del loro gregge, i padri Maubant e Chastan obbedirono. Uniti al loro Vescovo, subirono il martirio per decapitazione il 21 settembre 1839. Beatificati il 5 maggio 1925, vennero canonizzati il 6 maggio 1984, nel gruppo dei 102 Martiri Coreani.

Martirologio Romano: Presso Sai-Nam-Hte in Corea, passione dei santi martiri Lorenzo Imbert, vescovo, Pietro Maubant e Giacomo Chastan, sacerdoti della Società per le Missioni Estere di Parigi, che per salvare la vita di altri cristiani si consegnarono ai soldati e furono trafitti con la spada.


Jacques-Honoré Chastan nacque il 7 ottobre 1803 a Marcoux, un villaggio nei dintorni di Digne. Suo padre si chiamava André-Sébastien Chastan e sua madre Marie-Anne Rougon. Era una famiglia di onesti contadini, che vivevano dei prodotti della terra che coltivavano.
Il giovane Jacques aveva iniziato a lavorare, ma, dopo aver manifestato il desiderio di essere istruito, venne mandato a scuola, verso i dieci anni circa. Quattro anni dopo, andò in un villaggio vicino per apprendere i primi elementi della lingua latina. Là si fece notare per la sua assidua partecipazione alle celebrazioni in parrocchia, per l’impegno a stare lontano dalle compagnie pericolose, per il contegno e la delicatezza della sua coscienza.
A quindici anni venne iscritto alle superiori a Digne, dove, ancora una volta, fu il suo buon comportamento ad essere degno di nota, anche se non faceva grandi progressi nello studio. Il desiderio di diventare sacerdote e missionario gli fu messo in cuore dall’esempio, probabilmente raccontato dai suoi familiari, del parroco di Marcoux, che era partito per la Cina nel 1805.
Nel 1820, quindi, proseguì gli studi a Embrun, dove abbracciò lo stato ecclesiastico. Prese ad accostarsi più frequentemente ai sacramenti e imparò l’orazione mentale e l’esercizio di stare costantemente alla presenza di Dio.
Un giorno, in refettorio, venne letta la vita di san Francesco Saverio. Quella lettura lo commosse fino alle lacrime, al pensiero che tanti popoli vivevano ancora senza conoscere Dio. Poco tempo dopo, durante una passeggiata comunitaria, aveva portato con sé un volume delle «Lettere edificanti e curiose» dei Gesuiti in Cina e, passandolo a un amico che voleva dare un’occhiata, affermò: «Condotto dalla mano del Signore, andrò in cerca delle pecore più abbandonate di tutte».
Sul finire del 1822, il giovane Pietro tornò a Digne per frequentare il corso di filosofia. I suoi compagni l’ammiravano per la sua religiosità e per il suo carattere, ma nessuno di essi era a conoscenza dei suoi più profondi e santi desideri. L’anno successivo entrò in Seminario: a quel punto, si sentì libero di sfogare il suo ardore missionario raccontandolo agli amici ed esortandoli a seguirlo. Nella preghiera, pareva totalmente rapito in Dio e ogni tanto si lasciava sfuggire delle esclamazioni d’amore: «Com’è grande Dio! Ma com’è umile!... Com’è bello il Figlio dell’Uomo, com’è amabile!... Mio Dio, quando potrò andare ad annunciarti ai popoli che non ti conoscono?».
Si sentiva certo che Dio lo volesse in Corea, disponibile ad affrontare ogni sorta di disagio come se dovesse svolgere un compito.
Alla fine degli studi in Seminario, andò in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora del Laus. Arrivato in vista della cappella delle apparizioni, si prostrò faccia a terra per onorare, come disse ai suoi compagni di viaggio, la terra resa santa dalla presenza della Vergine Maria.
Man mano che il sacerdozio si avvicinava, il suo zelo per le missioni pareva accrescersi, poco importava se gli si prospettavano sofferenze e sacrifici: era certo che il Signore, chiamandolo alla missione “ad gentes”, gli avrebbe dato il coraggio di sopportare tutto per amor suo.
In questo spirito, dopo l’ordinazione diaconale, arrivò a gettarsi ai piedi di monsignor Miollis per domandargli il permesso di partire quanto prima per il seminario dell’Istituto per le Missioni Estere di Parigi. Il prelato, credendo che si comportasse così per eccesso di zelo, glielo negò.
Il diacono, allora, moltiplicò le suppliche e le visite, finché il vescovo non gli concesse l’autorizzazione a partire.
Il 23 dicembre 1826 venne ordinato sacerdote e tre giorni dopo, festa di Santo Stefano, celebrò la sua seconda Messa nel suo villaggio natale. Il 6 gennaio diede l’addio ai suoi familiari, i quali, benché preavvisati, non si aspettavano che l’avrebbe adempiuto così presto. Padre Maubant si gettò ai piedi della madre per domandarle la sua benedizione, ma lei lo scacciò, dandogli dell’ingrato. Alzatosi, venne inseguito dalla madre, che moltiplicava le grida e le lacrime; ad un certo punto, nel bel mezzo della campagna, si voltò e tornò a domandarle la benedizione. Nel vederlo così deciso, lei non poté negargli di raccomandarlo a Dio.
Il giorno del suo arrivo a Parigi fu il 13 gennaio 1827. Dopo pochi mesi di prova, ricevette la sua destinazione nel mese di maggio e partì da Bordeaux, insieme a quattro confratelli e a un francescano italiano diretto verso la provincia dello Shensi. Contrariamente a quanto sperava, non venne immediatamente assegnato alla Corea, bensì all’isola di Pinang, come docente al Collège Général, il Seminario Maggiore.
Si occupava dei giovani orientati verso il sacerdozio, ma era molto interessato anche ai numerosi cinesi che abitavano nell’isola: i suoi superiori gli permisero di dedicarsi anche a loro. Durante i corsi per la vita apostolica, non perdeva occasione di pianificare nuove strade per raggiungere quanti più neofiti possibili ed apprendeva continuamente nuove lingue. Oltre a insegnare, fu il quarto parroco della chiesa dell’Immacolata Concezione a Pinang, a partire dal 1830.
Il suo pensiero, comunque, andava spesso alla Corea. Quando venne a sapere che monsignor Barthélémy Bruguière, il suo superiore e Vescovo titolare di Capsa, era stato nominato Vicario Apostolico per quel territorio, si offrì per partire anche lui.
Nel maggio 1833, quindi, tornò a Macao, da cui s’imbarcò a settembre per il Fo-kien e, dopo aver attraversato la Cina e la Manciuria, arrivò alla frontiera coreana. Tuttavia, non trovando nessuno che l’aiutasse a varcarla, si vide costretto a ritirarsi a Pechino. Nell’attesa che si presentasse un’occasione favorevole, esercitò il ministero nella regione dello Shantung.
Alla fine del 1835 tornò alla frontiera coreana, in attesa dei cristiani che dovevano aiutarlo a varcarla. Finalmente, il 31 dicembre, riuscì a non farsi scoprire dai doganieri grazie all’oscurità della notte e, il 15 gennaio 1837, arrivò a Seul.
Dopo Pasqua era già pronto per andare a visitare le comunità cristiane e poté quindi affiancare il suo confratello padre Pierre-Philibert Maubant, in Corea da due anni. A loro si aggiunse, verso la fine del 1837, il nuovo Vicario Apostolico, successore di monsignor Bruguière, monsignor Laurent Imbert. Mediante il loro intenso lavoro e nonostante le minacce di persecuzioni, il novero dei cristiani toccò cifre inattese: novemila fedeli, tremila in più nel giro di tre anni.
Improvvisamente, nella notte tra il 10 e l’11 agosto 1839, monsignor Imbert venne arrestato. Un suo collaboratore, Andrea Chong Hwagyŏng, aveva ingenuamente dato retta a un delatore, Kim Yo-sang, il quale gli aveva riferito che le autorità avevano deciso di accettare il cattolicesimo come religione e di farsi battezzare. Andrea, tenute a distanza le guardie, corse dal vescovo e gli riferì quanto aveva appreso: lui, intuito che si trattava di una trappola, si dispose a farsi catturare.
Se in un primo tempo monsignor Imbert fu persuaso di dover difendere i missionari, di fronte all’orrore della prigione e alle torture che subivano alcuni suoi collaboratori laici, si vide costretto a ordinare l’estrema ubbidienza ai suoi sacerdoti: consegnarsi alle autorità.
Il 23 agosto, padre Maubant ricevette un secondo messaggio dal vescovo: «Bonus pastor ponit animam suam pro ovibus suis. Si nondum estis profecti per cymbam, venite cum misso Son Kie Tsong» («Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. Se non siete ancora partiti in barca, venite con l’inviato Son Kie Tsong»).
Nella notte tra il 5 e il 6 settembre, venne raggiunto da padre Chastan, insieme ad un ultimo appello: «In extremis bonus pastor dat vitam pro ovibus; unde si non-dum profecti estis, venite cum præfecto Son Kie Tsong, sed nullus christianus vos sequatur» («In casi disperati, il buon pastore dà la vita per le pecore: dunque, se non siete ancora partiti, venite col mandarino Son Kie Tsong, ma nessun cristiano vi segua»).
A quel punto, non restava loro che ubbidire: «Andiamo a una festa troppo grande perché ci sia permesso di lasciar entrare nei nostri cuori sentimenti di tristezza», scrisse in una lettera datata 6 settembre 1839 e indirizzata ai confratelli delle Missioni Estere.
Alcuni giorni più tardi, tutti e tre comparvero insieme di fronte al giudice e vennero interrogati per tre giorni, allo scopo di sapere i nomi e i nascondigli dei loro convertiti. Dato che le torture non li abbattevano, vennero condotti in un’altra prigione e, infine, condannati alla decapitazione.
L’esecuzione avvenne il 21 settembre 1839 a Saenamteo (o Sai-Nam-Hte), non lontano da Seul. I due sacerdoti avevano trentasei anni, il vescovo quarantasette. I loro corpi rimasero esposti per tre giorni; in seguito, vennero seppelliti alla meglio nella sabbia del luogo dell’esecuzione.
Verso la metà di ottobre, vennero portati via da alcuni cristiani e seppelliti sul monte Nogu, dove venivano posti quelli che non avevano delle proprietà. Più tardi, per evitare che venissero confusi tra migliaia di altre tombe, vennero traslati sul monte Samseongsan, che significa “dei tre santi”, denominazione che esisteva già da prima del diciottesimo secolo.
Il 21 ottobre 1901, la tomba fu aperta, ma i resti erano confusi tra di loro. Portati al seminario di Ryong-san, vennero traslati definitivamente, il 2 novembre 1901, presso la Cattedrale di Seul, nella cui cripta sono stati collocati dal maggio 1903.
Padre Jacques Chastan e i suoi compagni vennero inclusi nei settantanove cristiani beatificati il 9 maggio 1925 e nei centodue canonizzati da papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, in piazza Youido a Seul, nell’ambito del viaggio apostolico in Corea, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Thailandia.
La parrocchia dell’Immacolata a Pinang lo ricorda con un monumento, costituito da un padiglione e da una statua, mentre la diocesi di Digne, che gli diede i natali, nel 2007 gli ha dedicato il complesso di edifici dei quali fa parte il Vescovado.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2014-03-28

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