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San Simeone Stilita il Vecchio

27 luglio

Sis, Cilicia, 390 circa – Qal'at Sim'an, Siria, 2 settembre 459

Viene chiamato il vecchio per distinguerlo da un omonimo stilita che visse più di un secolo dopo di lui. Nacque nel 389 al confine tra Cilicia e Siria. Trascorse l’infanzia pascolando il gregge di famiglia, quindi entrò nel monastero di Teleda, dove si fermò una decina d’anni sostenendo dure mortificazioni e digiuni. Invano i superiori invitarono il giovane alla moderazione e quando l’abate scoprì che portava sulla pelle un cilicio di palme così ruvido da procurare ferite e sanguinamenti, lo allontanò dal cenobio. Simeone si rifugiò allora per breve tempo in una cisterna prosciugata, poi si spostò in una minuscola cella a Telanissos a nordest di Antiochia, dove digiunò per l’intera Quaresima sopportando la fame e la sete. Salì poi su una montagna vicina, e per essere sicuro di non allontanarsi si fece legare il piede con una catena a una roccia. Solo l’intervento del vescovo di Antiochia riuscì a convincerlo a liberarsi da quel vincolo doloroso. L’ascesi straordinaria di Simeone piaceva alla gente dei dintorni, che accorreva numerosa. Il monaco si fece allora costruire una colonna che terminava in un podio con una balaustra di circa un metro di diametro. Lì egli passava il suo tempo assorto in preghiera. Due volte al giorno si rivolgeva poi ai visitatori dirimendo liti, operando guarigioni e altri miracoli. Una predicazione semplice che faceva grande impressione sulla gente, che accorreva sempre più numerosa. Lo straordinario carisma dello Stilita procurò numerose conversioni anche tra gli arabi. Morì nel 459 all’età di circa 70 anni. Era tanta la fama di questo campione dell’ascesi che diversi gruppi cercarono di trafugare la salma per venerarla.

Etimologia: Simeone = Dio ha esaudito, dall'ebraico

Martirologio Romano: Vicino ad Antiochia in Siria, san Simeone, monaco, che visse per lunghi anni su una colonna, assumendo per questo anche il nome di Stilita, uomo di vita e di condotta degne di ammirazione.


Nato e poi vissuto tra Cilicia e Siria, è figlio di pastori, perciò trascorre la sua infanzia tra le greggi.

La chiamata in sogno
Un giorno il giovanissimo Simeone non può portare le pecore al pascolo perché la neve è troppo alta; così entra in una chiesa e si emoziona ascoltando le parole del Vangelo delle Beatitudini. Chiede allora a un vecchio come si fa per vivere in quel modo, e questi gli risponde che si deve abbandonare tutto ed essere solo di Dio. Non sa quanto Simeone lo prenderà alla lettera. Mentre prega il Signore affinché gli mostri la Sua volontà, si addormenta e sogna di scavare le fondamenta di una casa. “Scava, scava più a fondo!”, gli raccomanda una voce, e quando finalmente raggiunge la profondità giusta si sente dire: “Ecco, ora potrai costruire l’edificio dell’altezza che vorrai”.

La vita in monastero? Troppo poco!
Dio ha chiamato Simeone e questi risponde entrando in monastero, ma ben presto qui la vita per lui si rivela in un certo modo troppo semplice: quello che cerca è una perfezione più alta, raggiungibile solo attraverso la pratica dell’austerità. Così si trasferisce nell’eremo di Teleda, in cui i monaci mangiano ogni due giorni. Ma non è ancora abbastanza. Simeone digiuna per l’intera settimana donando il suo pasto ai poveri. Ma fa di più: con un ramo di mirto si costruisce un cilicio. A questo punto per l’abate è troppo e per paura che gli altri monaci prendano esempio, lo caccia. Questo non fa che rendere le azioni di Simeone ancora più estreme: nel terrore di essere un pessimo esempio di irriducibile peccatore, scende nel fondo di un pozzo e ci rimane per giorni a piangere. L’abate, temendo di averlo punito troppo duramente, lo richiama in monastero.

37 anni in cima a una colonna
Passa un altro anno però, e Simeone lascia di nuovo il monastero – stavolta volontariamente – per relegarsi in una capanna a Teli Nesim, vicino Antiochia, sotto la direzione del sacerdote Basso. Anche il suo nuovo maestro però è preoccupato dalla severità della sua condotta. A Simeone, ormai, vivere in una cella e digiunare per l’intera Quaresima non basta più: sale su una montagna e si impone di vivere lassù, solo, concedendosi uno spazio di massimo 20 metri. Per misurarli correttamente arriva a incatenarsi a una roccia, ma quando il vescovo di Antiochia, Melezio, sale fin lì e gli fa notare che in quel modo vivono solo le bestie feroci, ha un’illuminazione: relegarsi sopra una colonna, via via sempre più alta, per distaccarsi dal mondo “di sotto” e assurgere prima a quello “di sopra”, dove c’è Dio. Su questa colonna, Simeone non può sedersi, figuriamoci sdraiarsi: sta in piedi, in contemplazione perenne… o quasi.

Simeone, la folla e le donne
Le scelte di vita inusuali di questo monaco, infatti, non passano inosservate, anzi, attirano folle di curiosi: così Simeone inizia a rispondere a domande, dirimere controversie e predicare, almeno due volte al giorno, alle persone che accorrono presso di lui. Non fa avvicinare, però, le donne, e questo strano fatto lo spiega così: “Se saremo degni, ci vedremo nella vita a venire”. Non fa eccezioni neanche per sua madre, Marta, che tanto importante è nella sua vita - per questo lei accetterà la decisione senza protestare e sull’esempio del figlio si ritirerà in convento - e tanta influenza aveva avuto sulla sua conversione da piccolo. Iniziano a girare anche voci sulla sua capacità di effettuare eccezionali guarigioni: così una delegazione della Chiesa si reca sul posto per verificare. Ma all’ordine dei vescovi di scendere dalla colonna, Simeone accetta subito, perciò l’ordine viene revocato e la sua sincerità e grandezza così dimostrate. Da allora Simeone non scenderà mai più dalla sua colonna, dedicando tutto il tempo al suo Signore, che lo chiamerà a sé – il corpo ormai insensibile alle atroci sofferenze cui lo aveva sempre esposto – nel 459. Dopo qualche disputa, il corpo del Santo viene sepolto ad Antiochia sotto a un altare dal quale Simeone non lesinerà miracoli e grazie.

(Vatican News)
 


 

Notizie abbastanza dettagliate su questo santo stilita ci sono pervenute dalla testimonianza oculare di Teodoreto, vescovo di Ciro e storico imparziale, che fu suo intimo amico. La sua strana forma di ascetismo, assai discussa sin dai suoi tempi, oggi non sarebbe assolutamente più compresa. Non si può tuttavia negare che tale specialissima vocazione si sia rivelata utile all’edificazione del popolo e per la difesa della fede.
Simeone nacque a Sis, in Cilicia, verso l’anno 380, da una famiglia di poveri pastori. Nell’infanzia sua unica occupazione fu la custodia del gregge. Un giorno, non essendo potuto andare al pascolo a causa della neve, si recò in chiesa ove rimase emozionato udendo la lettura delle beatitudini evangeliche. Chiese allora ad un vegliardo come fosse possibile conseguire la felicità che esse promettevano e questi gli suggerì di abbandonare senza esitazioni il mondo. Simeone entrò allora in un’altra chiesa e, prostrato per terra, pregò a lungo il Signore perché gli mostrasse la sua volontà. Addormentatosi, in sogno gli sembrò di scavare le fondamenta di una casa: tra una sosta e l’altra, una voce più volte lo ammonì: “Scava più a fondo”. Quando le fondamenta raggiunsero una certa profondità, la medesima voce gli disse: “Adesso puoi costruire l’edificio all’altezza che vorrai”.
Desiderando vincere se stesso e raggiungere la perfezione, Simeone decise di rinchiudersi in un monastero, dove condusse una vita innocente ed improntata ad una dura austerità, dedito agli uffici più umili. Siccome però aspirava ad una perfezione ancora più alta, due anni dopo si trasferì nella solitudine di Teleda per una decina d’anni. Qui i suoi compagni mangiavano ogni due giorni, egli invece passava tutta la settimana senza assumere cibo. I poveri erano i beneficiari della sua razione. L’abate Eliodoro, non approvando quella sua singolarità, tentò invano di moderarlo. Un giorno Simeone si strinse fortemente attorno al corpo una corda tessuta di mirto selvatico, tanto da provocare vistose piaghe e dopo alcuni giorni fu scoperto per il sangue che perdeva ed il fetore che emanava. Furono necessarie varie cure e, appena guarì, l’abate lo congedò dal monastero, affinché quello straordinario fervore non inducesse altri ad imitarlo.
Simeone si rifugiò in un pozzo asciutto ed in esso pregò e pianse di continuo, credendosi un grande peccatore, finché l’abate cinque giorni dopo lo mandò a richiamare, pentito del cattivo trattamento che gli aveva riservato. Un anno dopo, però, uscì definitivamente dal monastero per stabilire la sua dimora in una capanna a Teli Nesim, nei pressi di Antiochia, sotto la direzione del sacerdote Basso. Essendovi giunto al principio della quaresima, si propose di trascorrerla nel più assoluto digiuno, ma il suo maestro si oppose, considerando un simile progetto una tentato suicidio . Infine si fece murare nel tugurio con soli dieci pani ed una brocca d’acqua. Al termine della quaresima Simeone giaceva per terra senza voce e senza movimento, ma dopo aver ricevuto la comunione riacquistò le forze. Per ben ventotto anni puntualmente egli rinnovò questo terribile digiuno quaresimale.
Dopo aver trascorso tre anni in quella misera cella, Simeone salì sulla vicina montagna e, per darsi alla contemplazione, si fece legare una catena ad un piede, infissa nella roccia del recinto che si era fatto costruire a ridosso del monte. Melezio, vescovo di Antiochia, visitando Simeone nella volontaria prigione, si permise di fargli notare che in tale maniera atroce venivano legate soltanto le bestie feroci. Il santo si propose allora di tendere alla perfezione con la forza della volontà e nel rompere la catena, il cuoio villoso che gli proteggeva la carne apparve anche agli occhi di Teodoreto pieno di cimici: Simeone ne aveva sopportato i morsi con un’invincibile pazienza.
La vita straordinariamente penitente praticata dal santo, nonché i miracoli da lui operati, attirarono una folla immensa di pellegrini. Trovando esagerati gli atti venerazione nei suoi confronti, ritenne allora opportuno relegarsi sopra ad una colonna e successivamente altre tre di altezza sempre superiore. La colonna era sormontata da una balaustrata di un metro circa di diametro, sprovvista di alcun riparo dalla pioggia o dal sole. Lo stilita non poteva dunque né sdraiarsi, né sedersi. Ogni settimana riceveva la comunione ed ogni quaranta prendeva un po’ di cibo. In tal modo rimase pur sempre esposto agli sguardi della folla, apparendo come un modello di sovrumana fortezza e di costanza. Simeone si rivolgeva con semplicità al popolo due volte al giorno, dopo nona, per rendere giustizia ai litiganti, per ricordare la necessità del distacco dai beni terreni ed i terribili castighi riservati agli ostinati peccatori. Il resto della giornata lo riservava alla preghiera. Convertì molti saraceni, persiani, georgiani e armeni. Sempre con dolcezza combatté inoltre gli errori dei giudei, degli eretici e dei pagani.
Simeone godette della fama di taumaturgo e di profeta. Nessuno si allontanò da lui senza essere consolato: fece scaturire una sorgente di acqua in una località che ne era priva, ottenne figli alle regine dei saraceni e degli israeliti, predisse guerre e carestie, ridonò la salute a tanti infermi. L’imperatore San Teodosio II il Giovane lo supplicò di lavorare per il bene della Chiesa e di fare in modo che Giovanni, patriarca di Antiochia, cessasse dal sostenere la causa dell’eretico Nestorio. L'imperatore San Leone I il Grande gli scrisse invece riguardo al concilio di Calcedonia ed a Timoteo Eluro, impadronitosi del patriarcato di Alessandria uccidendo San Proterio. Da parte sua Simeone rammentò ai prelati ed ai principi i loro doveri, pur considerando se stesso “un vile e abietto verme e l’aborto dei monaci”. Alla vedova di Teodosio II, Santa Eudossia, che gli chiese un parere sull’eretico Eutiche e sul concilio di Calcedonia, egli consigliò di ricorrere a Sant’Eutimio il Grande.
Il disprezzo che Simeone aveva sempre nutrito per il proprio corpo, lo rese insensibile ai dolori cagionatigli dalle piaghe, ma ebbe comunque il presentimento della sua ultima ora. Ricevette l’ultima volta l’Eucaristia per mano di Domno, patriarca di Antiochia. Infine, il 2 settembre 459 l’eroico penitente rese la sua anima a Dio, mentre s’inchinava sulla sua colonna come era solito fare per iniziare la sua preghiera. Alla notizia del decesso, il patriarca di Antiochia ed altri sei vescovi, nonché il capo della milizia Ardaburio con ben seicento soldati, si recarono ai piedi della colonna. Tre vescovi vi salirono e baciarono le vesti dello stilita recitando salmi. Il suo corpo venne posto in una bara di piombo. I saraceni accorsero armati tentando d’impadronirsene, ma Ardaburio si oppose fermamente. Una enorme folla accorse attorno alla colonna con profumi, ceri e fiaccole. Il corpo di Simeone venne allora collocato sopra un altare di marmo, eretto dinnanzi alla colonna, e tutti i vescovi lo baciarono devotamente. Il feretro, deposto sopra un carro, fu poi trasferito ad Antiochia. L’imperatore Leone I avrebbe poi voluto fare trasportare le reliquie a Costantinopoli, ma dovette desistere dal suo progetto per le suppliche degli antiocheni. Sul sepolcro del santo iniziarono a verificarsi più miracoli di quanti non ne avesse compiuti in vita. Un magnifico tempio a forma di croce con un quadriportico, del quale rimangono le rovine, fu invece eretto a Qal'at Sim'an attorno alla colonna sulla quale Simeone aveva compiuto tante penitenze.
Discepolo ed imitatore di Simeone fu lo stilita San Daniele, che introdusse gli stiliti a Costantinopoli. Commemorato in data 27 luglio dal Martyrologium Romanum, San Simeone Stilita è detto “il Vecchio”, onde distinguerlo dal santo omonimo vissuto nel secolo successivo, monaco in Siria, che visse per ben sessantotto anni su una colonna, tanto da meritarsi anch’egli il soprannome “stilita” ed è dunque noto come San Simeone Stilita il Giovane. Il santo odierno, solitamente festeggiato invece in oriente al 1° settembre, viene talvolta confuso od identificato con San Simeone di Egee.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2006-06-01

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