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Servo di Dio Kazimierz Wojciechowski Sacerdote salesiano, martire

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Don Kazimierz è nato nel 1904. Ha frequentato negli anni 1912-1920 le scuole salesiane di Krakow e Oswiecim. Ha fatto il noviziato a Klecza Dolna, dove nel 1921 ha emesso la prima professione. Nel 1935 è stato ordinato sacerdote a Kraków. Come prete salesiano ha lavorato poi a Oswiecim e Krakow. Fu arrestato il 23 maggio 1941. Fu poi trasportato nel campo di Auschwitz. Morì il 27 giugno 1941, ucciso durante il lavoro nelle cave di ghiaia.



Nacque a Jasło (Galizia) il 16 agosto 1904 da Andrea e Maria Boskow; morì martirizzato nel campo di concentramento di Oświęcim il 27 giugno 1941, a 37 anni di età, 19 di professione e 6 di sacerdozio.
A cinque anni perdette il padre e venne accettato nell'istituto del Principe Lubomirski a Cracovia. Era un ragazzo vivacissimo, allegro, intraprendente, pronto al lavoro.
Nel 1916 incominciò gli studi ginnasiali nel nostro Istituto di Oswiecim; di là passò nel nostro noviziato di Klecza Dolna, donde, fatta la professione il 2 ottobre 1921, passò nello studentato filosofico di Cracovia. Egli era di buon ingegno e appassionato della musica.
Fece il tirocinio a Lad, Varsavia (Casa Ispettoriale), Antoniewo, Aleksandrow ed Oswiecim. Terminati lodevolmente gli studi teologici a Cracovia nel 1935, veniva ordinato sacerdote da S. Ecc. Mons. Stanislao Rospond, Ausiliare di Cracovia.
Fu quindi a Daszawa, a Cracovia Parrocchia come insegnante di Religione nelle scuole pubbliche, e nel medesimo tempo Direttore dell'oratorio e dell’Associazione Cattolica della gioventù.
A Cracovia venne arrestato con gli altri confratelli e di là inviato “al campo della morte” di Oswiecim con il N. 17.342. Il suo soggiorno nel campo fu brevissimo: un giorno solo, ma pieno di martiri.
Venne il 27 giugno 1941 dice un testimonio oculare ; di mattino l'appello. Attorno si stendeva il ripugnante e fetido fumo dal camino del crematoio, che toglieva il respiro. Fra di loro vi è anche Casimiro che con la sua presenza franca ed energica attirò a sé l'attenzione dei persecutori che cominciarono ad inveire brutalmente contro di lui. Gli diedero calci, lo bastonarono. Con il manico di una pala il “Capo” ruppe con un colpo i denti al povero Don Casimiro e con un altro colpo di scudiscio gli ferì la testa, facendola sanguinare.
Il povero sacerdote, continuamente tormentato e battuto, si sforzava, col resto delle poche forze che gli rimanevano, di lavorare per non dare pretesto ad altri maltrattamenti. Venne l'interruzione del lavoro per il pranzo. La mattina fino a mezzogiorno, già due confratelli, Don Swierc e Don Dobiasz, erano stati uccisi e cremati. Ora toccava ad altre due vittime. Dopo il pranzo si incominciò di nuovo il solito lavoro. Don Casimiro con grande sforzo lavorò per un certo tempo e poi estenuato e sfinito si rivolse al Blockfuhrer pregandolo di cambiargli il lavoro con una occupazione più leggera. “Anzi, l'avrai fra poco. Porta solamente questa carriola alla fossa. Corri subito!”, continua il “Capo”. E cominciò a batterlo ripetutamente coi suo grosso bastone, gridandogli: “Ah poltrone! Ah ingannatore! Non hai voglia di lavorare!". Quando il povero Don Casimiro arrivò vicino alla fossa con la sua carriola, il “Capo" a viva forza ve lo fece precipitar dentro. Poi scoppiò in una orrenda sghignazzata al vedere i deboli sforzi del povero prigioniero per uscire dalla fossa. All'improvviso gridò: “Mettiti di là vicino, anzi accanto, all'altro poltrone", indicandogli Don Harazim che giaceva quasi esanime nel fondo della fossa, sempre tormentato dal suo sanguinario persecutore.
Il giorno era caldissimo; s'avvicinavano le 14. Il “Capo" e un guardiano della prigione presero una sbarra di ferro e la posero sulle gole dei sacerdoti già quasi agonizzanti, che giacevano l'uno accanto all'altro, e sghignazzando cominciarono ad insultare le povere vittime: “Già, sapete far stupire gli altri... ma non avete nessuna voglia di lavorare! Dite che ci sia un Dio: mostratecelo, io voglio vederlo, dio sono io, io sono il padrone della vostra vita”.
Durarono un bel poco questi insulti contro le povere vittime, finché il “Capo” col suo collega saltarono sulla sbarra di ferro che opprimeva le gole dei due sacerdoti e col peso dei loro corpi compirono l'opera sanguinaria.
Si udì un breve rantolo, le labbra si mossero quasi all'ultima preghiera, poi si coprirono di una saliva sanguigna, le facce dei due martiri gonfiarono, si scossero... le loro ultime convulsioni e i nostri martiri, Don Harazim e Don Wojciechowski, lasciarono la vita di quaggiù nella geenna del “campo della morte" di Oswiecim, mentre le loro anime volavano in cielo a ricevere il premio della loro fedeltà a Dio.
Le spoglie mortali dei due sacerdoti vennero gettate su un mucchio di cadaveri presso il crematoio, in attesa di essere messi in quel forno infernale.


Fonte:
www.sdb.org


Note:
Per segnalare grazie o favori ricevuti per sua intercessione, oppure per informazioni, rivolgersi al Postulatore Generale della Famiglia Salesiana: [email protected]

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Aggiunto/modificato il 2005-11-01

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