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Servo di Dio Bartolomeo de Las Casas Domenicano, vescovo

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Siviglia, 1484 – Madrid, 18 luglio 1566


La drammatica e nello stesso tempo provvidenziale vicenda di s. Paolo di Tarso, persecutore dei cristiani e poi con Pietro il più grande degli Apostoli, si è ripetuta molte volte nel corso della storia della cristianità.
Anche durante la grande epopea dei “conquistadores” spagnoli nel Continente americano da poco scoperto, ci fu un Paolo di Tarso il cui nome è fra’ Bartolomeo de Las Casas, prima colono sfruttatore degli indios poi domenicano difensore strenuo dei loro diritti.
Si chiamava Bartolomé Casuas e nacque a Siviglia nel 1484, figlio di don Francisco Casuas che accompagnò Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio verso le Antille, effettuato nel 1493.
Degno rappresentante di una famiglia avventurosa, anche gli zii avevano seguito Colombo, Bartolomeo dopo essersi laureato in Diritto all’Università di Salamanca, si imbarcò per il Nuovo Mondo nel 1502 con la spedizione di Nicolas de Ovando (terzo governatore delle Indie Occidentali) per prendere possesso delle piantagioni paterne nell’isola di Hispaniola (attualmente suddivisa fra Haiti e la Repubblica Dominicana), con il proposito di arricchirsi e di ottenere benefici ecclesiastici; così gli fu affidata la gestione di una “encomienda”.
L’’encomienda’ era una istituzione spagnola introdotta nell’America centro-meridionale nel XVI sec. che aveva la struttura organizzativa di un feudo medioevale; si trattava infatti di grandi estensioni di terreno sottoposte, assieme alle persone che vi abitavano, al comando di un solo padrone (encomendero).
Regolata inizialmente da leggi ispirate a principi umanitari che comprendevano anche l’evangelizzazione degli indigeni che vi lavoravano, sofferse di molti abusi che ne degenerarono il contenuto sino a mutarla in breve tempo in una Istituzione di stampo autoritario, nella quale i lavoratori erano ridotti in schiavitù, sebbene fossero loro riconosciute alcune libertà. Proprio per questo strapotere degli ‘encomenderos’ non fu mai riconosciuto all’encomienda il carattere ereditario.
Per alcuni anni combatté anche lui contro gli Indios, impiegandoli come schiavi nelle sue proprietà, chiudendo altresì gli occhi davanti alle stragi, prevaricazioni e soprusi di ogni genere, perpetrati dai ‘conquistadores’ spagnoli avidi di ricchezze, contro le inermi popolazioni locali.
Nel 1510 fu il primo sacerdote ad essere ordinato nel Nuovo Mondo e si trasferì a Cuba; benché non fosse un ‘encomendero’ peggiore degli altri, ai contemporanei appariva come un prete attaccato ai beni del mondo e abbastanza astuto per conservarli; non tenendo conto delle raccomandazioni della defunta regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e dei papi di quel periodo, intese a promuovere l’evangelizzazione e la giustizia fra quei popoli, impropriamente chiamati ‘Indiani’ da Colombo.
Verso la fine del 1511, assisté alla predicazione festiva di padre Antonio Montesinos domenicano, il quale senza mezzi termini si esprimeva: “Siete in stato di peccato mortale e ci morirete, a causa della vostra crudeltà nei confronti di un popolo innocente”.
I coloni si scandalizzarono e dopo aver rifiutato di liberare gli schiavi, si trovarono esclusi dal Sacramento della Penitenza, tanto importante in quel tempo di continuo e giornaliero pericolo di morte.
Anche Bartolomeo che aveva cambiato il cognome di origine francese Casuas in Las Casas, fece queste riflessioni, grazie anche alle prediche del frate domenicano Pedro da Cordova e da allora, dopo essersi liberato dell’encomienda, iniziò la sua conversione a quegli ideali per i quali combatté per tutto il resto della sua vita.
Si dedicò totalmente alla difesa degli Indios, per i quali reclamò libertà e parità di diritti con i conquistatori; come era da aspettarselo ebbe l’opposizione dei coloni e quindi la sua predicazione non diede risultati favorevoli.
Allora padre Bartolomeo de Las Casas decise di recarsi nel 1516 in Spagna per ottenere dal governo spagnolo la promulgazione di leggi favorevoli agli indigeni; il governatore di Madrid e reggente del regno, Cisneros, lo nominò procuratore generale e protettore degli Indios, ma pur avendo acquisita una certa benevolenza dall’imperatore Carlo V, le sue buone intenzioni furono vanificate dall’avversione dei conquistatori.
Bartolomeo Las Casas, fattosi domenicano nel 1523, continuò allora la sua battaglia attraverso la predicazione; ma non solo con le prediche cercò di aiutare gli Indios, ma anche con delle iniziative che alla fine si rivelarono come errori, che lo resero vulnerabile ai detrattori di allora e di oggi.
Il primo insuccesso fu la “riserva evangelica”, che Bartolomeo tentò di fondare a Cumaná nel nord-ovest dell’attuale Venezuela, con l’obiettivo di riunire delle comunità ispano-indiane dirette da religiosi, in altre parole contadini spagnoli sarebbero potuti convivere in pace con gli indios insegnando loro l’agricoltura.
Ma i coloni si rivelarono tutt’altro che altruisti con gli indios, ci fu una rivolta provocata dall’alcool e un naufragio e il progetto del domenicano fallì.
Un secondo errore, che la storia non ha voluto dimenticare, fu che Las Casas nel 1516 propose nell’ambito di un progetto di riforma delle colonie, l’importazione di schiavi neri che fornissero la manodopera necessaria; la proposta scaturì da una errata sua informazione sui modi con cui le popolazioni africane erano asservite dall’Islam.
Questo ha fatto sì che Bartolomeo Las Casas, venisse considerato un fautore della tratta dei neri e benché fosse pentito profondamente della sua sciagurata idea, più volte dichiarato nei suoi scritti, questa colpa ha impedito di fatto finora la beatificazione del grande difensore degli indios.
Grande fu la sua opera di convinzione, sia in Spagna che in America, presso vescovi, autorità civili e militari, corte imperiale, affinché si modificasse il criterio interpretativo di un passo della “politica” di Aristotele, in cui si legge di “schiavi per natura”, criterio applicato dagli spagnoli agli indios.
La sua lunga lotta, che gli procurò comunque tanti nemici, ebbe un coronamento con le “Nuove leggi” promulgate nel 1543 da Carlo V, le quali prevedevano l’estinzione delle concessioni a danno degli indios e il divieto di nuove, inoltre tutti i documenti affermavano che la schiavitù era abolita.
Nel 1544 Bartolomeo Las Casas venne nominato vescovo di Chiapa, nello Stato di Chiapas (Messico) immensa diocesi attualmente divisa fra Messico e Guatemala.
Da vescovo, facendo tesoro degli insuccessi precedenti, avviò una evangelizzazione capillare fra i nativi, usufruendo dell’opera discreta di indios già convertiti escludendo così i coloni europei, organizzandoli in piccole comunità operose, rispettando gli usi, i costumi, le lingue locali. Opera che si ripeterà nel XVII secolo, in forma più organizzata nelle famose “riduzioni” dei Gesuiti, create in Paraguay.
Gli “encomenderos” lo combatterono aspramente, accusandolo di eresia e tradimento, giungendo alla fine ad ottenere l’abolizione delle “Nuove leggi”.
Il vescovo Las Casas fu costretto nel 1547 a ritornare in Spagna per discolparsi dalle accuse ricevute, in un confronto diretto con J. Ginés de Sepulveda (sostenitore della naturale schiavitù degli indigeni conquistati).
Non ritornò più in America, ritenendo più utile continuare la sua lotta nel centro del potere coloniale spagnolo. Vinta la causa nel 1550, si ritirò fino alla morte in un convento domenicano, dove scrisse numerose opere letterarie in difesa della libertà non solo fisica, ma anche economica, sociale, politica degli Indios, fino all’annuncio nel suo ‘Testamento’ della distruzione della Spagna come castigo divino.
“Credo che a causa di queste opere empie, scellerate ed ignominiose, perpetrate in modo così ingiusto e tirannico, Dio riverserà sulla Spagna la sua ira e il suo furore, giacché tutta la Spagna si è presa la sua parte, grande o piccola, delle sanguinose ricchezze usurpate a prezzo di tante rovine e di tanti massacri”.
È di quel tempo la disastrosa invasione e distruzione dei Maya e degli Incas; di Bartolomeo Las Casas è la poderosa “Storia delle Indie” (pubblicata solo nel 1875), opera fondamentale e preziosissima fonte storica sulla prima colonizzazione americana e sulla vicende e tradizioni dei popoli conquistati.
Il grande domenicano morì a Madrid il 18 luglio 1566; alla luce delle valutazioni moderne sul suo operato, i padri Domenicani della Curia Provinciale di Siviglia, hanno promosso la causa per la sua beatificazione, attualmente a livello diocesano.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2005-04-27

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