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San Cesidio (Antonio) Giacomantonio Sacerdote francescano, martire

4 luglio

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Fossa, L’Aquila, 30 agosto 1873 - Hoang-scia-wuan, Cina, 4 luglio 1900

Religioso francescano lapidato e bruciato all'età di ventisette anni in Cina mentre proteggeva il Santissimo Sacramento dalla profanazione degli adepti della setta Yihetuan.

Martirologio Romano: Nella città di Hengyang nella provincia dello Hunan in Cina, san Cesidio Giacomantonio, sacerdote dell’Ordine dei Minori e martire, che nella persecuzione scatenata dalla setta dei Boxer, mentre tentava di proteggere il Santissimo Sacramento dalla folla dei loro seguaci, lapidato e avvolto in un telo imbevuto di benzina, morì arso vivo.


Il 1° ottobre del 2000 papa Giovanni Paolo II ha canonizzato un numeroso gruppo di 120 martiri in Cina, vittime delle ricorrenti persecuzioni che si scatenarono contro la cristianità, in quel grande Paese, fino al secolo XX.
Di questi c’è un gruppo di 29 martiri, vittime nei primi giorni di luglio dell’anno 1900, dei famigerati ‘boxers’, che avevano scatenato una furiosa e sanguinosa persecuzione contro i cristiani e gli europei in generale, provocando in soli cinque mesi e nelle sole province dello Shan-si e Hu-nan, una carneficina di circa 20.000 vittime fra vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, catechisti e cristiani cinesi.
In questo gruppo di 29 santi martiri, che furono beatificati nel 1946 da papa Pio XII e che comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso, tutti Minori Francescani, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 5 seminaristi cinesi e nove domestici-collaboratori cristiani cinesi, 26 morirono decapitati a Tai-yuen-fu, sede del Vicariato dello Shan-si e tre nel Vicariato dello Hu-nan.
In questa scheda parleremo di padre Cesidio Giacomantonio, che insieme ai due francescani Giuseppe Maria Gambaro e mons. Antonino Fantosati, diedero la loro vita per Cristo nello Hu-nan in Cina, nei giorni precedenti il massacro del 9 luglio a Tai-yuen-fu; anch’essi vittime dei sanguinari ‘boxers’ e dei loro fiancheggiatori pagani, aizzati dagli invidiosi bonzi confuciani, con vergognose calunnie contro i missionari; favoriti dal crudele viceré Yü-sien e tollerati dalla settantenne imperatrice Tz-Hsi.
Il protomartire della Cina di quel disastroso periodo di persecuzione del 1900, Cesidio Giacomantonio, nacque il 30 agosto 1873 da Giovanni e Maria Loreta Antonucci a Fossa in provincia de l’Aquila in Abruzzo, e al battesimo fu chiamato Angelo.
Crebbe rispettoso, obbediente e devoto, da giovinetto cominciò a vedersi in lui una spiccata tendenza alla vita religiosa, pregava a lungo nel vicino Convento di S. Angelo in Ocre, dove riposavano le spoglie di due beati francescani, Bernardino da Fossa e Timoteo da Montecchio, ancora vivi nella tradizione e devozione del popolo abruzzese.
Ed a 15 anni chiese ed ottenne di entrare come Postulante nel Convento Francescano di S. Giuliano dell’Aquila; la vestizione del saio avvenne il 21 novembre 1891, cambiando il nome di Angelo in Cesidio (martire della Marsica).
Il suo comportamento, la sua evidente vocazione, lo spirito di sacrificio e serietà, fecero sì che un anno dopo l’8 dicembre 1892 festa dell’Immacolata, con il consenso generale, fu ammesso alla Professione; continuò gli studi superiori teologici e di formazione, in vari conventi e nel noviziato di Magliano dei Marsi, venendo infine ordinato sacerdote nel 1897 dall’arcivescovo dell’Aquila, mons. Carrano; celebrò la sua Prima Messa a Fossa fra la commozione dei genitori e dei compaesani.
Fu assegnato al convento di Capestrano, ma ci rimase poco, perché già nel 1898 padre Cesidio fu chiamato a Roma, dal padre Luigi Laner benemerito promotore del movimento missionario nell’Ordine Francescano, nel Collegio Internazionale di S. Antonio, in via Merulana, come candidato alle Missioni Estere.
Di questo Collegio, padre Cesidio sarà il primo martire e il primo beato e poi santo. Nelle vacanze del 1899 ritornò in Abruzzo dove incontrò un missionario veterano della Cina, padre Luigi Sondini, venuto in Italia dopo 32 anni di lavoro e per ripartire con nuovi aiuti di volenterosi confratelli; fu un incontro determinante per padre Cesidio, che lasciato in tutta fretta l’Abruzzo, ritornò a Roma dove si stava organizzando la partenza per l’ottobre di quel 1899; il 18 ottobre insieme ad altri due missionari guidati da padre Luigi Sondini, partirono da Roma diretti a Marsiglia dove s’imbarcarono per la Cina il 22 ottobre.
Come per altre spedizioni, lungo le tappe del viaggio, furono accolti con sollecitudine da altri missionari, che infondevano coraggio per il loro apostolato. Poi si divisero e padre Cesidio con padre Bonaventura Schiavo, arrivarono alla meta, dopo un viaggio durato in tutto quattro mesi e sei giorni, accolti a Heng-tciou-fu nei primi giorni del 1900, dal Vicario Apostolico dell’Hu-nan, dai missionari e dai fedeli cinesi.
Padre Cesidio restò a Heng-tciou-fu, un paio di mesi per ambientarsi ma l’urgenza missionaria, lo fece partire per Tong-siang (regione orientale), comunità con 500 battezzati; egli come altri missionari, scrisse di continuo a casa raccontando le vicende, i luoghi, le usanze, le difficoltà; e nel mese che restò a Tong-siang si cominciarono ad avvertire i segni dell’imminente persecuzione e padre Cesidio nelle sue lettere d’inizio luglio ai genitori, presagisce la tempesta e la possibilità di perdere la vita, ma nel contempo conforta i familiari, dicendo loro che se accadesse ciò, sarebbe un premio di Dio per lui.
Il 3 luglio si mosse da Tong-siang per recarsi come al solito alla sede del Vicariato a Hoang-scia-wuan, per incontrare il suo Direttore spirituale padre Quirino, vicario del vescovo Fantosati, assente per motivi pastorali in luoghi più lontani, insieme a padre Gambaro.
I fedeli del villaggio e un prete cinese incontrato poi, lo esortavano a non andare, visto le voci allarmanti della persecuzione in atto, ma padre Cesidio pensava che esagerassero, proseguì e raggiunse padre Quirino; ma verso mezzogiorno del 4 luglio cominciarono gli assalti alla Missione, dopo avere bruciato quella Protestante; la residenza principale fu in un attimo invasa dalla folla di facinorosi, seguita da atti vandalici e grida di morte.
I due missionari cinesi riuscirono a scappare senza farsi riconoscere, ma padre Cesidio e padre Quirino ebbero solo il tempo di salire al piano superiore e chiudersi in una stanza, mentre fuori si gridava “Morte agli Europei!”. Sfondata la porta, la plebaglia si arrestò incredibilmente davanti ai due missionari, i quali approfittarono di questo sbandamento per passare in mezzo a loro e scendere le scale, ma giunti nel cortile la folla urlante li bloccò e mentre padre Quirino dopo essere stramazzato sotto le botte degli scalmanati, veniva tratto in salvo da alcuni cristiani intervenuti e portato lontano a 15 km da lì.
Non fu così per padre Cesidio, il quale vedendo che non poteva scappare, rientrò in casa e tentò di salvarsi per una porta secondaria, ma che purtroppo trovò chiusa; una testimonianza di una cinese cristiana, dice che il missionario temendo che l’Eucaristia venisse profanata, andò in Cappella a consumare le particole consacrate e poi la plebaglia forsennata lo aggredì mortalmente a colpi di lancia e di bastoni e mentre agonizzante, respirava ancora, fu avvolto in un panno imbevuto di petrolio e dato alle fiamme.
Il racconto del martirio fu dato dallo stesso padre Quirino, giunto in città più sicura. Così moriva martire il giovane missionario francescano di Fossa, che non aveva ancora 27 anni. Tre giorni dopo, il 7 luglio, furono martirizzati il vescovo Antonino Fantosati e padre Giuseppe Gambaro, accorsi al Vicariato alla notizia della distruzione.
Questi primi tre martiri furono seguiti il 9 luglio dall’eccidio di altri 26 missionari e fedeli nello Shan-si, come detto all’inizio di questa scheda.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2003-08-28

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