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Sant' Eldrado di Novalesa Abate

13 marzo

Lambesc (Provenza) ? – Novalesa (Torino), 840 ca.

Eldrado, nato nella seconda metà dell'VIII secolo da una famiglia dell'aristocrazia guerriera franca, lasciò tutto per andare pellegrino a Compostela. Poi si diresse sul versante italiano del Moncenisio, in Piemonte, dove fu accolto nell'abbazia benedettina di Novalesa, presso Susa. Questa nel IX secolo conobbe l'apice del suo splendore. Ne fu abate e vi morì intorno all'844. Nella domenica successiva alla festa la teca con le reliquie viene portata in processione dalla chiesa parrocchiale all'abbazia.

 

Martirologio Romano: Nel monastero di Novalesa ai piedi del Moncenisio in val di Susa, sant’Eldrado, abate, che, appassionato del culto divino, riformò il salterio e promosse la costruzione di nuove chiese.


Cominciamo con lo stabilire dove si trova Novalesa, esso oltre ad essere il nome di un Comune in provincia di Torino, è anche il nome della celebre Abbazia della Novalesa, posta allo sbocco della Valle di Susa nel Moncenisio, ai piedi dell’incombente Rocciamielone, a m. 822 s.m.
Essa fu fondata nell’VIII secolo e sotto i Benedettini divenne un celebre centro di cultura, poi decadde; soppressa nel periodo napoleonico e ancora successivamente nel 1855, è ora in custodia ai Benedettini.
E attraverso il valico del Moncenisio, proveniente dalla Francia, verso l’810, arrivò s. Eldrado a Novalesa (Nuova Lesa), cioè ‘nova lex’, abbazia ricca di storia e di memorie.
I documenti più antichi che parlano di lui, derivano dalla “Vita rhythmica” in versi ottonari del secolo IX-X purtroppo andata persa. E quanto si è salvato dagli antichi archivi novalisensi è stato pubblicato dall’Istituto Storico Italiano, in un’opera fondamentale dal titolo “Monumenta novaliciensia vetustiora” del 1898 e 1901.
Comunque, anche da queste fonti nulla si apprende dell’infanzia e giovinezza di Eldrado, che nato da nobile famiglia a Lambesc in Provenza, fu esemplare per la sua vita e ben presto chiamato allo stato religioso, finché venne in Italia nella Valle di Susa.
Due documenti certi, dell’825 e dell’827 accennano esplicitamente ad Eldrado chiamandolo abate di Novalesa; il primo documento è un diploma originale dell’imperatore Lotario I (795-855) che dona all’abate Eldrado il monastero di Pagno, nel cuneese; il secondo è una sentenza risolta a favore dell’abbazia di Novalesa, a seguito di una contestazione sorta fra i monaci ed alcuni abitanti di Oulx (dal 1937 al 1960 Ulzio) paese posto nella stessa provincia torinese.
Ad ogni modo risulta certo il suo zelo per il culto del Signore, come pure la sua operosità come costruttore di nuove chiese, fra le quali quella di S. Pietro nella nativa città di Lambesc, come le quattro a Monestier-les-Bains ed il grandioso campanile dell’abbazia di Novalesa; inoltre come revisore del Salterio (raccolta, nel testo ebraico, di salmi in sei libri; la Chiesa ha fatto del Salterio la preghiera liturgica per eccellenza, trasferendo i salmi nel Messale e nel Breviario).
Fra i suoi meriti si annovera la capacità di aver tutelato i diritti dell’abbazia, in quel tempo nel suo massimo splendore e l’aver fatto costruire un nuovo monastero a Monestier nella vicina Francia, località allora di intenso traffico di pellegrini e di viandanti.
La sua presenza è documentata, come ricoprente la carica di abate di una delle sedici più importanti abbazie dell’epoca, cioè Novalesa presumibilmente tra gli anni 820-825 e 840-845.
Ma la testimonianza più eclatante della santa vita di Eldrado, è l’esistenza all’interno del recinto dell’abbazia, di una chiesetta a lui intitolata, eretta tra il 1229 e il 1265 per volontà di Giacomo delle Scale, priore in quel tempo.
La cappella è fra le opere d’arte più significative del Piemonte, di evidente derivazione bizantina, con all’interno un ciclo pittorico di anonimo artista, che rappresenta varie fasi della vita di s. Eldrado. Egli è raffigurato prima come agricoltore, intento a tagliare con la scure un cespuglio, immerso nelle acque di un fiume; poi lo si vede come pellegrino davanti ad un sacerdote; poi è alla porta del monastero di Novalesa, dove un sacerdote di nome Arnulfo lo consacra e lo veste con abito monastico.
Segue un dipinto con s. Eldrado che libera la regione di Briançon dai serpenti, rinchiudendoli in una caverna; l’ultimo dipinto raffigura l’abate in punto di morte, che riceve la Comunione mentre un monaco piange.
Morì a Novalesa verso l’840; le sue reliquie, sono custodite in un’urna d’argento sbalzato, nella chiesa parrocchiale dell’omonimo paese. La sua festa si celebra il 13 marzo.

Autore: Antonio Borrelli
 



Eldrado nasce in Francia ma è molto conosciuto in Valle di Susa (Torino), in una località chiamata Novalesa, a un’altitudine dal mare di 822 metri circa. È in questo suggestivo luogo, dove il silenzio e la natura creano un connubio fatto d’armonia e di pace, che Eldrado vive la sua pia esistenza come abate di un convento. Il santo è un ricco aristocratico francese, nato nell’VIII secolo a Lambesc (Provenza). La sua famiglia, da generazioni, è composta da cavalieri dediti alle armi, alle guerre e ai tornei. Eldrado, invece, rompe con il passato e non intende seguire la tradizione di famiglia. Decide di abbandonare tutto per andare in pellegrinaggio a Santiago de Compostela, in Spagna. Continua, poi, il suo viaggio alla ricerca di Dio. Si incammina verso l’Italia, in Piemonte, valica il Moncenisio e arriva in Valle di Susa, vicino a Torino.
In uno scenario da fiaba, ai piedi del Monte Rocciamelone, Eldrado viene accolto nel Convento benedettino di Novalesa. Il pellegrino si ferma perché finalmente trova quello che cercava. Veste il saio, prega e lavora duramente come tutti gli altri. Eldrado, grazie alle sue virtù, diventa abate del convento trasformandolo in un importante centro di cultura, spiritualità e laboriosità, un luogo dove i poveri possono andare a bussare per chiedere la carità. I monaci offrono ai bisognosi un posto al riparo dalle intemperie, conforto dell’anima, una parola buona e una scodella di minestra calda. Eldrado fa costruire anche un altro convento, in Francia, per dare ospitalità ai tanti viandanti e pellegrini che dal Nord Europa si dirigono in Italia, a Roma e a Gerusalemme.
All’interno dell’Abbazia di Novalesa ancora oggi si possono ammirare alcuni dipinti che raffigurano la vita del santo: lo si vede intento ad estirpare un cespuglio, a leggere uno dei suoi amati libri, a cacciare via dei serpenti. Eldrado diventa famoso per aver diffuso e tramandato la versione corretta del Libro dei Salmi (un testo della Bibbia ebraica e cristiana). Incarica per questo delicato lavoro Floro, un religioso coltissimo, spagnolo, insegnante a Lione. I Testi Biblici, ricopiati nel passato con molti errori, vengono scritti di nuovo e diffusi in Europa, grazie ai pellegrini che di passaggio sostano nell’Abbazia di Novalesa. Sant’Eldrado muore nell’840 a Novalesa, nel suo convento, tuttora guidato da monaci benedettini.

Autore: Mariella Lentini
 




Nella sua importante famiglia provenzale, la vocazione militare passa di padre in figlio, ma lui rompe con la tradizione: né armi, né tornei, né partenze per campagne di guerra. Parte solo per andare pellegrino a San Giacomo di Compostella, in Spagna. E questo è tutto ciò che sappiamo di lui in gioventù. Una sua biografia in versi latini, scritta poco dopo la morte, è andata perduta, e noi lo conosciamo attraverso documenti e atti pubblici dei suoi anni maturi.
In epoca imprecisata, il provenzale Eldrado scende in Italia dai valichi del Moncenisio e si presenta all’abbazia della Novalesa, in Valle di Susa, sulla strada che collega l’Italia alla Francia. Questa comunità è stata fondata nel 726 da Abbone, personaggio eminente del regno franco al tempo di Pipino il Breve (padre di Carlo Magno). Agli inizi era una cosa modesta: un Monasteriolum virorum con la Regola di san Benedetto; un piccolo monastero maschile dedicato agli apostoli fratelli, Pietro e Andrea. Abbone stesso ha pilotato l’espansione della comunità, ingrandendo gli edifici per accogliere più monaci, creare lo Studium e dare ospitalità a pellegrini e poveri. Infine, morendo, lascerà all’abbazia gran parte del suo imponente patrimonio terriero nella Francia centrale e meridionale.
Ed è qui che arriva Eldrado. Ma non come pellegrino di passaggio. Per lui la Novalesa è il traguardo. Pronuncia i voti, riceve l’abito, lavora e prega come tutti. Altro non sappiamo di lui monaco. Ma a un certo momento lo ritroviamo abate, per una durata imprecisata, collocata tragli anni 820 e 840.
Di lui come abate si ricorda in particolare un’iniziativa liturgica e culturale che avrà effetti importanti anche fuori dall’abbazia e dall’Ordine benedettino. Lo preoccupano le imprecisioni e gli errori che trova disseminati nel libro dei Salmi (usato per il culto) a opera di copisti ignoranti, che generano altra ignoranza. Decide di offrire ai celebranti e ai fedeli i testi biblici nella purezza della loro versione latina e si rivolge per questo compito a Floro, un dottissimo diacono di origine spagnola, che vive e insegna a Lione. Floro si impegna in un lungo lavoro di controllo e di correzione, anche attraverso il confronto con il testo ebraico: così Eldrado e la Novalesa offrono ai cristiani d’Europa un Salterio riveduto «secondo la regola della verità». Veicoli importanti di questa conoscenza sono i pellegrini, che di anno in anno sostano all’abbazia, partecipando alla sua vita liturgica: e che diffondono poi nei loro Paesi la versione corretta dei Salmi.
Quanto a Eldrado, è incerta anche la data della sua morte: verso l’anno 840, si ritiene. Pochi decenni dopo, l’abbazia è devastata e saccheggiata da bande saracene. I monaci fuggono a Torino salvando i libri e le cose più preziose. E fanno poi ritorno alla Novalesa verso l’anno Mille, costituendo un priorato che dipende dall’abbazia di Breme (Pavia).
Nel Duecento vi “ritorna” anche Eldrado, proclamato santo per voce popolare e onorato con la dedicazione di una cappella che racconterà la sua vita pure alla gente del XXI secolo, sulle sue pareti stupendamente affrescate: lo si vede nei grandi momenti della vita, con gli strumenti delle sue fatiche, con uno dei suoi amati libri. E una comunità di benedettini, oggi, dopo traversie secolari, vive nell’antica abbazia, dedicandosi alla preghiera e ancora ai libri, al restauro di preziosi volumi.


Autore:
Domenico Agasso


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2023-01-25

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