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Venerabile Francesco d'Abruzzo Laico professo

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>Nacque a Picciano, paese dell'Abruzzo, Teramano da Vespasiano Dangelosanto e da Angelina di Villa Cipresso il 28 febbraio 1773 e al sacro fonte fu chiamato Donato, Paolo, Mario, Antonio. Adolescente e giovane si mostrò sempre religioso e costumato, tanto che i concittadini lo chiamavano col poetico espressivo soprannome di palomba senza fiele (Colomba senza fiele).
Obbligato al servizio militare combattendo sotto la bandiera del suo re, cadde prigioniero, ma riuscendo a scampare, ritornò alla milizia nazionale. Venuto col Reggimento a Palermo, dove allora re Ferdinando di Borbone sostenuto dagli Inglesi erasi rifuggiato; tra i soldati della caserma, divenne tosto esempio di bontà, di religione e di carità; mentre nella cappella della stessa caserma faceva da sacrestano e serviva agli uffici divini che si celebravano dal cappellano. La sua vita così fuori l’ordinario costume dei soldati, mosse il Canonico Francesco Arì, suo confessore, ad interessarsi della vera vocazione che appariva manifesta. Siccome il Canonico era pure confessore del Principe di Campofranco, ne parlò a lui per ottenere la esenzione del servizio militare e così liberamente potere volare al chiostro. L’illustre personaggio, essendo nelle grazie e personalmente vicino a Francesco di Borbone, allora principe ereditario e poi Re delle due Sicilie ne ottenne non solo quanto il pio giovane desiderava. ma la promessa di pagare lui le spese che il convento suole ordinariamente esigere per la recezione di un nuovo frate. Il Dangelosanto allora corse a Baida e dopo pochi giorni di perseveranza vestiva l'abito di S. Francesco all'età di 36 anni il 26 luglio 1809. Fatta la solenne professione il 29 luglio dell'anno seguente fu destinato quale infermiere nell'attiguo ospedale, ove per quaranta anni fu apostolo di carità sconfinata, servendo gli ammalati anche nei più intimi uffizi e istruendoli nella pietà e nell'Amore di Dio. Perciò impartiva l'istruzione del catechismo, inculcava la preghiera recitandola assieme agli ammalati che invitava a recitare un'Ave prima e dopo la bevanda o la medicina; vivificando ogni sua azione con l'ardore che l'anima dei santi solamente sa infondere nelle anime più ignare o più agghiacciate ed esasperate dai casi della vita, dai dolori, dalle disgrazie e dai malanni.
In tutto ciò nessun riposo egli concedevasi oltre quello che fisicamente esigeva la stanchezza del corpo; onde suo riposo abituale era per lui lo sdraiarsi, o piuttosto, il lasciarsi abbattere sulla sponda del letto di qualche ammalato, perché rimanesse sentinella vigile ai bisogni degli altri, anche in quella parodia di sonno e di riposo
Dovendo di notte camminare per la corsia, toglievasi i sandali, unica sua calzatura, e a piedi nudi, accostavasi al letto di chi avesse bisogno di lui, ed anche semplicemente per non destare dal sonno i dormenti pure nelle freddi notti d'inverno così a piedi scalzi camminava.
Ma se chiamato per assistete un moribondo, allora anche l’intera notte egli passava pregando inginocchiato alla sponda o ai piedi del letto dell’agonizzante!
Come nella vita pubblica fra Francesco meritò il nome dell'amatore dei fratelli così nella interna e nascosta, seguendo l'esempio del serafico Padre, fu ammirato l'amante di Gesù.
Per Lui si disciplinava con ferree catene sino alla effusione del sangue, cingevasi di aspro e crudele cilicio, digiunava sempre e spesso a pane ed acqua, per Lui volle essere privo di ogni cosa sino a difettare del vero bisognevole, per Lui custodì illibata la sua castità in omaggio a Lui la sua profonda umiltà e la sua ammirevole ubbidienza.
Rigido osservatore dei santi voti e di quella regola che fu detta il midollo della perfezione cristiana sembrava un redivivo S. Francesco e come l’umile Poverello fu riverito ed amato da quanti ebbero il bene di conoscerlo ed ammirarlo. Da qui la sua santità, il dono delle profezie e dei miracoli, da qui le sue estasi e i suoi rapimenti, da qui la fama popolare confermata da strepitosi prodigi. Fra Francesco ebbe il dono della bilocazione, cambiò le pietre in pane, l'acqua in vino e fu un Taumaturgo!
Mori il 25 Maggio del 1851 ed esposto per tre giorni in chiesa, al feretro si accalcava continuamente un popolo e gli uomini facevan di gomito per tagliare ciocche di capelli e strappare o tagliuzzare il saio del Servo di Dio che proclamavano santo. Dopo dodici anni della morte ad istanza del M. R. P. Benedetto La Vecchia Ministro Provinciale, la Curia Arcivescovile iniziò il processo canonico in ordine alla beatificazione e già si erano tenute 24 sessioni dello stesso processo informativo quando venne la soppressione. Chiuso nel punto stesso ove trovavasi fu spedito alla Sacra Congregazione dei Riti in Roma. Nel 1909 essendo Provinciale della ricostituita Provincia il M. R. P. Alfonso Padrenostro ottenne dal Cardinale Lualdi Arcivescovo di Palermo di ripigliare il processo e dopo 58 sessioni il nuovo processo fu portato a compimento e chiuso, fu spedito con le dovute forme canoniche alla S. Congregazione dei Riti.


Autore:
Raimondo Lentini


Fonte:
P. Agostino Gioia ofm, La Minoritica Provincia di Val Mazara, Palermo 1925

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Aggiunto/modificato il 2003-03-17

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