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Beato Bartolo Buonpedoni da San Gimignano Sacerdote, terziario francescano

12 dicembre

San Gimignano, Siena, 1228 circa - 12 dicembre 1310

È l’unico figlio dei conti Giovanni e Giuntina Bompedoni. Nasce verso il 1227 e suo padre vuole vederlo sposato. A Bartolo nonpiace questa programmazione del suo avvenire e se ne va di casa. Raggiunge Pisa, dove lo accolgono i Benedettini di San Vito. In seguito ad un’apparizione, Bartolo lascia il monastero e Pisa, andandosene a Volterra. Per ordine del vescovo, viene ordinato sacerdote e incomincia il suo ministero come cappellano a Paccioli, passando poi a Picchena come parroco. Qui si ammala inguaribilmente: colpito a sessant’anni dalla lebbra, lasciò la cura della parrocchia e, vestito l’abito del Terz’Ordine di San Francesco, diede pazientemente assistenza a tutti nell’ospedale in cui visse rinchiuso. Morì a San Gimignano il 12 dicembre 1310. Approvato nel 1498, il suo culto venne confermato il 27 aprile 1910 da Pio X.

Martirologio Romano: Presso la cittadina di Celloli in Toscana, beato Bartolo Buonpedoni, sacerdote, che, colpito a sessant’anni dalla lebbra, lasciò la cura della parrocchia e, vestito l’abito del Terz’Ordine di San Francesco, diede pazientemente assistenza a tutti nell’ospedale in cui visse rinchiuso.


E’ l’unico figlio dei conti Giovanni e Giuntina Bompedoni, e suo padre vuole vederlo sposato presto, per la continuità della casata. Anzi, vuole trovargli personalmente una moglie adeguata per titoli e patrimonio. Ma a Bartolo non piace questa programmazione del suo avvenire, e se ne va di casa. Destinazione Pisa, dove lo accolgono i Benedettini di San Vito, ma non come aspirante monaco: lui non ha fretta, deciderà dopo aver riflettuto. Intanto, serve il monastero facendo l’infermiere tra i malati.
Ma una notte fa un sogno, o forse ha una visione. Gli accade di vedere Gesù risorto, col corpo sempre piagato, e si sente dire: "Per fare la mia volontà, tu non dovrai diventare monaco; dovrai invece vivere nella sofferenza per vent’anni". Ricevuto quest’ “avviso”, Bartolo lascia il monastero e Pisa, andandosene a Volterra, dove entra nel Terz’Ordine francescano.
Un giorno lo chiama il vescovo di Volterra, che gli indica di diventare prete, al servizio della diocesi. Bartolo accetta, viene ordinato e incomincia il suo ministero come cappellano a Paccioli, passando poi a Picchena come parroco. Ma qui si ammala inguaribilmente: frate Bartolo ha la lebbra. Eccolo arrivato al momento di prova: il suo servizio a Dio consisterà ora nel confortare i sofferenti, soffrendo con loro. E come loro.
Bartolo va a vivere nel luogo che accoglie i suoi compagni di disgrazia respinti dalla società: il lebbrosario. Ce n’è uno nel vicino paese di Cellole, e lui si ritira lì come rettore della pieve, per gli ultimi vent’anni della sua vita. Isolato, ma presto conosciutissimo, per il male che ha e per il suo modo straordinario di viverlo, dando conforto anche ai sani. Lo chiamano “il Giobbe della Toscana”. Non fa miracoli: è un miracolo, personalmente, con la letizia francescana degli occhi e della parola, mentre il corpo si va disfacendo.
Dopo la morte lo si venera come santo. Sepolto a San Gimignano nella chiesa di Sant’Agostino, gli verrà innalzato uno splendido sepolcro, opera di Benedetto da Maiano. Approvato nel 1498, il suo culto sarà confermato nel 1910.


Autore:
Domenico Agasso


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2001-11-02

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