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Beato Pietro Diacono (Levita)

30 aprile

† 30 aprile 605

Pietro diventa benedettino dopo aver conosciuto il futuro Papa e Santo Gregorio Magno; che lo vuole suddiacono in Sicilia e Campania e poi diacono a Roma. Sarà sempre Pietro a stargli accanto quando questi si ritirerà nel Monastero del Celio per scrivere. Muore nel 605. 

Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino

Martirologio Romano: A Roma, beato Pietro Levita, che, monaco sul Celio, per mandato del papa san Gregorio Magno, amministrò con saggezza il patrimonio della Chiesa di Roma e, ordinato diacono, servì con fedeltà il pontefice.


Il B. Pietro Levita (Diacono) nacque nella metà del secolo VI. Secondo una radicata tradizione ed in base ai codici liturgici medievali conservati nell’Archivio Capitolare di Vercelli, apparteneva alla famiglia Bulgaro, feudatari di Vittimulo, dal cui castello ebbe origine l’attuale paese di Salussola (diocesi di Biella). Quand’era ancora giovane sarebbe andato a Roma per perfezionare gli studi (in realtà però Roma potrebbe essere stata la sua città natale).
La potenza dell’Impero Romano era un lontano ricordo, da due secoli erano cessate le persecuzioni contro i cristiani ma erano numerosi i movimenti eretici e imperversavano le scorribande dei barbari. Mentre era studente di lettere e filosofia Pietro conobbe il futuro S. Gregorio Magno, monaco secondo la Regola Benedettina, più grande d’età di qualche anno. Nacque una profonda amicizia e anche Pietro si fece religioso. Venne nominato cardinale nel 577 da Benedetto I, il termine però non aveva il significato attuale: era cardinale infatti il religioso "incardinato" in una chiesa principale per lo svolgimento di importanti servizi.
Gregorio fu eletto papa il 3 settembre 590 e tra le sue prime decisioni ci fu quella di inviare Pietro, divenuto suddiacono, in Sicilia come suo Vicario. Nell’isola Gregorio aveva fondato diversi monasteri e il patrimonio della Chiesa era considerevole. La prima lettera del nutrito epistolario del sommo pontefice, che oggi possediamo, fu indirizzata a tutti i vescovi siciliani per presentare il suo Vicario, ne seguirono altre di cui molte indirizzate direttamente a Pietro. Quando parla di lui le espressioni sono molto lusinghiere, apprendiamo anche che il suo fisico era mingherlino. Nelle lettere, a volte ironiche, si discuteva di problemi pratici: confini di terreni, donazioni, usura, tangenti, assistenza ai poveri, vigilanza sui costumi del clero, costruzione di chiese e affidamento di cariche ecclesiastiche. Non mancavano rimproveri oppure ordini da eseguire con sollecitudine; dalla Sicilia lo Stato della Chiesa si riforniva di grano, la cui mancanza poteva causare tumulti e sommosse. Pietro stette nell'isola dal 590 al 592, con residenza principale probabilmente a Siracusa. Ricoprì lo stesso incarico in Campania per un anno, poi si stabilì definitivamente nella capitale e venne nominato Diacono.
Nel Proemio dei Dialoghi di S. Gregorio apprendiamo che, un giorno, questi si ritirò in un luogo solitario, probabilmente il Monastero di S. Andrea al Celio. Rammaricato e stanco dei gravosi impegni di Pastore della Chiesa, ricevette il conforto dell’amico Pietro definito “dilettissimo figlio e carissimo compagno in santo studio”, “singolare amico fin dalla sua prima gioventù”. Grande doveva essere la saggezza di Pietro per accogliere le confidenze del pontefice. Divenne suo segretario, collaborando alla stesura delle opere per le quali Gregorio sarà chiamato Magno. Dagli antichi biografi di Gregorio (il diacono Paolo che scrisse nel secolo VIII e il diacono Giovanni che scrisse invece nel secolo successivo) apprendiamo un episodio molto importante della vita del nostro Beato. Quando Gregorio dettava e Pietro scriveva erano separati da una tenda. Un giorno Pietro, stupito dalla velocità con cui il papa esponeva i dogmi della dottrina cristiana, guardò oltre la tenda e scoprì che era lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, che suggeriva all’orecchio del pontefice le verità della fede. Pietro promise che avrebbe mantenuto il segreto a costo della vita.
Il papa morì il 12 marzo 604 confidando, poco prima, al fedele segretario che avrebbero cercato di distruggere le sue opere. Pietro lo rassicurò che in tutti i modi l'avrebbe impedito. Il pericolo diventò concreto un anno dopo, durante una sommossa popolare causata dalla carestia. Si era diffusa la notizia che Gregorio aveva impoverito la Chiesa per la sua eccessiva prodigalità verso i poveri. Pietro difese gli scritti dal rogo rivelando come fossero stati ispirati divinamente: era pronto a giurare sulla Sacra Scrittura, dal pulpito della Basilica Vaticana. Se fosse morto all’istante quella era la verità. In una basilica gremita Pietro mantenne la promessa stramazzando al suolo come colpito da un fulmine, era il 30 aprile 605. Il glorioso gesto di Pietro salvò un patrimonio che è oggi di tutta la cristianità.
Venne sepolto presso il campanile della Basilica, poco distante dal suo grande maestro; acclamato santo la memoria fu stabilita nel Martirologio al 12 marzo. Il culto si diffuse anche in terra vercellese, insieme al desiderio di possedere le sue reliquie. Tale desiderio divenne così forte che, due secoli dopo, i suoi resti furono sottratti e misteriosamente condotti nel castello di Salussola. Nonostante la venerazione se ne perse però ogni traccia un secolo dopo, quando il castello cadde in rovina. Nel 960 una pia donna del luogo, discendente dei Bulgaro, ebbe una visione e l’impulso di cercare le dimenticate spoglie. L’urna fu ritrovata dopo diversi giorni di lavoro, il Vescovo Ingone dei marchesi d’Ivrea riconobbe le reliquie come autentiche. Si costruì una chiesa per dare loro una degna collocazione e sorse un cenobio benedettino. Intorno all’anno Mille la festa era celebrata in tutta la diocesi, fino al 1575 col Rito Eusebiano.
A Roma il furto delle reliquie fu scoperto da Clemente VIII solo agli inizi del ‘600. Sistemando le reliquie di S. Gregorio Magno nel nuovo altare in S. Pietro a lui dedicato, si voleva ricongiungerle con quelle del fidato segretario. Si indirizzò una lettera al vescovo di Vercelli, Monsignor Ferreri, in data 15 marzo 1600, affinché si facesse chiarezza sulla sottrazione. Il presule piemontese confermò che le reliquie erano venerate a Salussola e convinse il papa a desistere dal suo proposito di riaverle a Roma. Il culto era ormai esteso ai paesi vicini che invocavano Pietro soprattutto durante le pestilenze.
Nel 1782 l’Ordine dei Girolamini, che erano subentrati ai Benedettini nella custodia del monastero del B. Pietro, fu soppresso e la chiesa venne sconsacrata. Il Vescovo di Biella fece una ricognizione delle ossa che furono trasportate definitivamente nella Parrocchia. Iniziato subito il processo per la conferma del culto “ab immemorabili”, vi lavorò poi anche don Davide Riccardi che diverrà Cardinale Arcivescovo di Torino. L’approvazione di Pio IX arrivò il 3 maggio 1866 mentre si diffondeva l’errata iconografia del Beato in abiti cardinalizi.
Nel 1945 si costruì un oratorio, vicino al luogo in cui sorgeva l’antico monastero, per sciogliere un voto fatto dai cittadini di Salussola durante la Prima Guerra Mondiale. La festa patronale si celebra con solennità e grande devozione la prima domenica di maggio, ogni anno giunge da Olcenengo un pellegrinaggio per un voto fatto dalla comunità nel lontano 1484. Per tradizione ultramillenaria a Salussola viene indicato anche il luogo in cui sorgeva la sua casa natale.


PREGHIERA

Suscita, Signore, nella tua Chiesa
lo spirito di servizio da cui fu animato il diacono Pietro: rinvigoriti dallo stesso spirito,
ci sforziamo di amare ciò che Egli amò
e di tradurre nelle opere il suo insegnamento.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto/modificato il 2004-05-13

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