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Sant' Efrem Diacono e dottore della Chiesa

9 giugno - Memoria Facoltativa

Nisibi, attuale Nizip in Turchia, c. 306 - Edessa, Siria (attualmente Turchia), 9 giugno 373

Efrem nacque nel 306 a Nisibi, città della Mesopotamia governata con la forza della armi da Roma. Dei primi anni della sua vita si conoscono racconti molto diversi tra loro: certo, invece, il sacramento del battesimo ricevuto verso i 18 anni. Strinse una profonda e spirituale amicizia con il vescovo della città, Giacomo (santo, 15 luglio), con il quale contribuì a costruire e a guidare una scuola di teologia. Ordinato diacono prima del 338 dal vescovo Giacomo (303-338), visse e operò a Nisibi fino alla conquista persiana: Efrem, alternando la vita ascetica all’insegnamento, si ritirò gli ultimi anni presso Edessa dove morì il 9 giugno dell’anno 373.

 

Etimologia: Efrem = che porta frutto, fertile, dall'ebraico

Martirologio Romano: Sant’Efrem, diacono e dottore della Chiesa, che dapprima in patria a Nisibi esercitò il ministero della predicazione e dell’insegnamento della sacra dottrina, poi, rifugiatosi a Edessa nell’Osroene con i suoi discepoli dopo l’invasione di Nisibi da parte dei Persiani, pose le fondamenta di una scuola teologica. Esercitò il suo ministero con la parola e con gli scritti e rifulse a tal punto per austerità di vita e dottrina da meritare per l’eleganza degli inni da lui composti l’appellativo di cetra dello Spirito Santo.

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Efrem, originario di Nisibi, località dell’antica Mesopotamia, dov’è nato nel 306. La tradizione della Chiesa lo ricorda come “Efrem il siro” e lo celebra come dottore della Chiesa. Una sua peculiarità è quella di essere un profondo pensatore cristiano – sarà uno dei più insigni della sua epoca – e insieme un fine poeta. Efrem è capace di rivestire intuizioni sulla fede con l’armonia di versi che toccano il cuore. E ciò che scrive fa scuola.

Genio e cuore
Intelligenza ed erudizione si abbinano a una tempra umana notevole. A 15 anni Efrem conosce il Vangelo, lo studia con passione, ma questo gli costa la persecuzione del padre, che è un sacerdote pagano. A 18, ricevuto il Battesimo, segue il vescovo Giacomo al Concilio di Nicea (325), quindi torna a Nisibi e vi apre una scuola biblica. Quando la città viene cinta d’assedio più volte dai persiani, Efrem lascia la cattedra e diventa l’eroe della resistenza. Fibra di teologo e di combattente, dunque. E di uomo di carità. Per ridurre l’impatto della carestia che a un certo punto colpisce Edessa, è lui a rimboccarsi le maniche per assicurare gli aiuti umanitari alla popolazione.

La fede nei paradossi
Pensiero e scrittura sono tuttavia i suoi talenti migliori, assieme al canto. Efrem scrive tanto e di tutto e con grande qualità spirituale e stilistica. Le sue poesie e omelie in versi, i suoi Inni (l’opera più ampia), i commentari biblici in prosa affrontano con acume e bellezza i cardini della fede che lo ha così affascinato – Dio creatore, la verginità di Maria, la redenzione di Cristo… Afferma che niente nella creazione è isolato e pure che il mondo, accanto alla Scrittura, è la Bibbia di Dio. La poesia in sostanza è lo strumento che gli consente di scavare nella riflessione teologica “attraverso paradossi e immagini”, ha notato qualche anno fa parlando di lui Benedetto XVI.

Un Santo a Edessa

Edessa, aiutata nel dramma della carestia, è la città in cui Efrem si trasferisce stabilmente dopo un pellegrinaggio nel 362. Lì prosegue nel suo lavoro di teologo e di predicatore e continua anche ad aiutare la gente in prima linea quando, più che della penna, c’è urgenza di curvare la schiena su chi soffre. La cura agli ammalati di peste è l’ultimo capolavoro, scritto con l’inchiostro della carità, partorito da Efrem il siro. Che a Edessa si spegne, vittima del morbo, nel 373. Le cronache non riportano con certezza se fosse stato o meno un monaco. Certamente fu sempre in modo esemplare diacono, un servo di tutti per amore di Dio e un suo cantore, “cetra dello Spirito Santo”.

(Vatican News)
 


 

Efrem ci consegna un quadro molto importante della Chiesa orientale del IV secolo, una comunità cristiana costretta a vivere tra l’impero di Roma (prima accanito persecutore della fede cristiana, poi convertito superficialmente alla fede in Gesù Cristo) e il suo nemico di sempre: la Persia. La vita del Diacono Efrem testimonia una Chiesa viva e capace di produrre in lingua siriaca opere importanti caratterizzate da un’attenzione del tutto particolare per la liturgia e la figura di Maria che rendono le opere di Efrem ancora molto apprezzate.
Fu autore prolifico. Nei suoi testi emerge con evidenza la sua capacità di declinare il piano teologico e dottrinale con la poetica. In qualità di predicatore, capì l’importanza della musica e della poesia come strumenti per difendere l’ortodossia della fede cristiana.
Pur non coinvolto direttamente nelle dispute teologiche del IV secolo (per alcuni, tuttavia, appena battezzato seguì il vescovo Giacomo nel 325 al I Concilio Ecumenico celebrato a Nicea), fece sua e perfezionò la pedagogia chi, invece, fu protagonista di quella stagione così tormentata. Ario, i Padri Cappadoci, Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano e soprattutto Bardesane, gnostico che predicava ad Edessa, si servivano delle poesie e degli inni per diffondere il loro pensiero teologico.
Le opere di Efrem, in prosa come in poesia, siano esse le Omelie oppure gli Inni non rimasero confinate negli scaffali della biblioteca che arricchiva la scuola di teologia di Giacomo di Nisibi: divennero liturgia esse stesse. Lo attestarono Basilio di Cesarea, che incontrò verso il 370, e Girolamo di Stridone che riporta nel suo De viris illustribus “che in certe Chiese, dopo la lettura della Bibbia, si leggevano pubblicamente le sue opere” (CXV). Non meraviglia che tra i titoli a lui attribuiti si trovi “arpa [cetra] dello Spirito Santo” per i meriti acquisiti soprattutto nei Carmina nisibena.
Efrem si distinse sempre per il servizio che rese alla Chiesa non solo in campo liturgico e teologico. Negli ultimi anni della sua vita organizzò gli aiuti umanitari resi indispensabili dalla grave carestia che aveva colpito la zona di Edessa: la sua autorevolezza fu garanzia di un’equa distribuzione dei viveri e dei soccorsi alle popolazioni colpite.
Dichiarato Dottore della Chiesa da Benedetto XV nel 1920.  

Autore: Massimo Salani

 


 

Catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale di mercoledì 28 novembre 2007

Cari fratelli e sorelle,

secondo l’opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice della religione cristiana si trova nell’Antico Testamento e quindi a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre a questa radice dell’Antico Testamento. Anche la sua espansione nei primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso oriente, fino alla Persia, all’India, contribuendo così a suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria identità. Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea vorrei parlare oggi di sant’Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al 306 in una famiglia cristiana. Egli fu il più insigne rappresentante del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste. Non si sa con certezza se era monaco, ma in ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita e che ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale identità cristiana: la fede, la speranza – questa speranza che permette di vivere povero e casto nel mondo, ponendo ogni aspettativa nel Signore – e infine la carità, fino al dono di se stesso nella cura degli ammalati di peste.
Sant’Efrem ci ha lasciato una grande eredità teologica. La sua considerevole produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici); opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente l’opera più ampia di Efrem. Egli è un autore ricco e interessante per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare il mistero di Dio.
Non posso adesso presentare molto di lui, anche perché la poesia è difficilmente traducibile, ma per dare almeno un’idea della sua teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini tratte dagli Inni sulla natività di Cristo. Davanti alla Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:

«Il Signore venne in lei
per farsi servo.
Il Verbo venne in lei
per tacere nel suo seno.
Il fulmine venne in lei
per non fare rumore alcuno.
Il Pastore venne in lei
ed ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange.
Poiché il seno di Maria
ha capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose
ne è entrato in possesso, ma povero.
L’Altissimo venne in lei (Maria),
ma vi entrò umile.
Lo splendore venne in lei,
ma vestito con panni umili.
Colui che elargisce tutte le cose
conobbe la fame.
Colui che abbevera tutti
conobbe la sete.
Nudo e spogliato uscì da lei,
Egli che riveste (di bellezza) tutte le cose»
(Inno sulla Natività 11,6-8).


Per esprimere il mistero di Cristo, Efrem usa una grande diversità di temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):

«Fu chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo ritornarvi»
(Inno 49,9-11).


Per parlare dell’Eucaristia, Efrem si serve di due immagini: la brace o il carbone ardente e la perla. Il tema della brace è preso dal profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che è Cristo stesso:

«Nel tuo pane si nasconde lo Spirito,
che non può essere consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco, che non si può bere.
Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e siamo stati vivificati»
(Inno sulla fede10,8-10).


Ed ecco ancora un ultimo esempio degli inni di sant’Efrem, dove egli parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza della fede:

«Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile»
(Inno sulla perla 1,2-3).


La figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana.
E’ importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo. Per Efrem è rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per Efrem, come non c’è redenzione senza Gesù, così non c’è incarnazione senza Maria. Le dimensioni divine e umane del mistero della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.
Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di «cetra dello Spirito Santo», restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.


Autore:
Benedetto XVI

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Aggiunto/modificato il 2011-03-11

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